F. Francesca, U.O. Urologia SSN AOUP
La diagnosi di carcinoma prostatico è istologica. Occorre cioè un prelievo bioptico con conseguente esame istologico per fare diagnosi.
Da molti anni e ancor oggi la biopsia viene eseguita sotto guida ecografica, effettuando prelievi multipli “random” secondo schemi predefiniti (mapping) per via transrettale o transperineale. La scelta della via d’accesso non pare influenzare sensibilità e specificità della metodica. Negli anni si è assistito ad un progressivo aumento del numero dei prelievi eseguiti al fine di aumentare sempre di più la sua accuratezza diagnostica (detection rate). Si è passati dal cosiddetto mapping a sestante a 6 prelievi (secondo la tecnica di Stamey) a schemi bioptici che prevedono un numero sempre maggiore di prelievi ampliando le zone prostatiche campionate. I migliori risultati nella diagnosi di carcinoma prostatico si ottengono utilizzando uno schema bioptico che includa dai 10 ai 14 prelievi, effettuati dall’apice alla base prostatica, il più posteriormente e lateralmente possibile nella porzione periferica della ghiandola. In caso di ghiandole particolarmente voluminose il numero dei prelievi aumenta.
Occorre comunque ricordare che una biopsia negativa non significa necessariamente assenza di tumore. E’ intuitivo che se il tumore o i tumori (il carcinoma prostatico è tipicamente multifocale) sono di piccolo volume, l’ago bioptico può non intercettare la neoplasia. Il risultato del mappaggio è in questi casi un falso negativo.

Consapevoli di questa realtà, in caso di primo mapping negativo la biopsia andrebbe ripetuta se:
• I valori del PSA sono persistentemente elevati e/o in ascesa;
• L’esplorazione rettale è sospetta;
• La diagnosi alla prima biopsia è incerta: ASAP (proliferazione microacinare atipica) e/o HG-PIN (neoplasia intraepiteliale) multifocale;
• E’ stato riscontrato un carcinoma intraduttale come unico reperto;
Negli ultimi anni sono stati fatti progressi significativi nell’imaging della prostata grazie alla RM multiparametrica che fornisce immagini morfologiche, a elevata risoluzione spaziale (< 1 mm) attraverso l’utilizzo di sequenze pesate in diffusione (DWI), che valutano la cellularità/aggressività di eventuali lesioni, e sequenze effettuate dopo somministrazione di mezzo di contrasto (DCE), che consentono di dare informazioni sulla perfusione/permeabilità del’area sospetta migliorando notevolmente la specificità della metodica nella diagnosi del tumore prostatico. Una delle difficoltà riscontate dal clinico con la risonanza magnetica della prostata, è l’eterogeneità delle immagini tra i diversi centri. Questo dipende dall’apparecchio utilizzato (1,5 T – 3 T), dalle bobine (numero di elementi, endorettale e bobina di superficie), aggiornamenti del software e protocolli impiegati. Questi fattori, sommati alla diversa esperienza del radiologo, hanno reso necessario la creazione di un sistema di standardizzazione e uniformità del referto. Pertanto, la Società Europea di Radiologia Urogenitale (ESUR) nel 2012 ha pubblicato il sistema PI-RADS (Prostate Imaging Report e Data System), volto a uniformare l’acquisizione, l’interpretazione e il referto della risonanza magnetica multiparametrica. Il sistema PI-RADS definisce la probabilità di individuare un tumore prostatico nell’area presa in esame. I risultati della risonanza sono valutati assegnando ad ogni lesione un punteggio da 1 a 5 (1 e 2: reperti non sospetti; 3: reperto dubbio; 4: reperto sospetto; 5 reperto francamente sospetto) .
La RM multiparametrica per lo studio prostatico rappresenta oggi un esame con doppia finalità per l’urologo: diagnostica e stadiante e di monitoraggio. Infatti, è indicata:
• nel caso di sospetto clinico-laboratoristico di tumore di prostata (PSA elevato) e una prima serie di biopsie random negative. La RM multiparametrica, infatti, consente di identificare focolai sospetti su cui effettuare prelievi bioptici mirati;
• nella stadiazione del tumore prostatico; consente di evidenziare o escludere un eventuale interessamento della capsula prostatica e delle vescichette seminali da parte di una lesione già diagnosticata mediante esame bioptico, consentendo un corretto approccio terapeutico;
• nel caso in cui, di fronte ad una diagnosi bioptica di tumore a basso rischio di progressione (tumore “clinicamente insignificante”), si decida di optare per la sorveglianza attiva.
La dimostrazione che la MRI multiparametrica presenta un’elevata
sensibilità nel riscontro di adenocarcinomi prostatici clinicamente significativi e che permette di rilevare tumori localizzati nella parte anteriore dell’organo, difficilmente riscontrabili con la ecografia transrettale, sta portando ad un sempre maggiore interesse, in ambito diagnostico, sul suo utilizzo prima della biopsia prostatica
Attualmente esistono tre modalità di esecuzione dell’esame:
• COGNITIVE BIOPSY: in questo caso la biopsia viene effettuata sulla scorta della valutazione delle immagini di mMRI prima dell’esecuzione dell’esame bioptico. Il radiologo disegna le aree sospette su un disegno schematico della prostata consentendo al clinico di eseguire le biopsie su quell’area. Si comprende come questo sistema sia dotato di imprecisione tanto maggiore quanto più piccolo è il volume della area sospetta.
• IN BORE BIOPSY: la biopsia viene attuata durante l’esecuzione della risonanza magnetica direttamente dal radiologo. Occorrono però dei costosi aghi paramagnetici non essendo utilizzabili i tradizionali aghi d’acciaio per il campo magnetico indotto nel corso dell’esame.
• FUSION BIOPSY: rappresenta il compromesso tra le due tecniche precedenti. In questo caso l’immagine della prostata ottenuta in mMRI viene sovrapposta – “fusa” – con analoga immagine ottenuta con l’ecografia. Softwares dedicati consentono di realizzare questa sovrapposizione di immagini consentendo al clinico di eseguire biopsie sotto guida ecografica in aree identificate dalla mMRI e disegnate sulla immagine ecografica.
La biopsia prostatica MRI-US fusion su lesioni sospette (targeted-biopsy) alla MRI ha dimostrato una maggiore sensibilità diagnostica rispetto alla biopsia prostatica tradizionale eseguita sotto guida ecografica (systematic biopsy, 12 prelievi): la detection rate (DR) passa dal 30% circa del mappaggio tradizionale al 70% con la fusion. Tutto ciò senza dimenticare la superiorità diagnostica nell’identificare i tumori clinicamente significativi (80%). Al momento, nell’attesa di una maggiore diffusione della metodica – apparecchi e radiologi dedicati – appare prudente associare le biopsie sistematiche a quelle mirate.
Alcuni autori inoltre hanno proposto di eseguire la mMRI nei pazienti naive, ovvero i pazienti mai sottoposti a biopsia prostatica, per aumentare il rilevamento di tumori aggressivi e ridurre l’over-detection dei foci non significativi. Al momento nel nostro paese non è proponibile per motivi economici e di disponibilità di apparecchi ma soprattutto di radiologi dedicati. Pertanto l’utilizzo della mMRI viene riservata a pazienti con almeno un precedente mappaggio prostatico tradizionale negativo ma con sospetto di avere un carcinoma.
Al momento non è chiaro se una mMRI negativa può giustificare l’omissione dell’esecuzione di una biopsia. Se il sospetto clinico rimane forte, appare ragionevole procedere con l’esecuzione del mapping tradizionale in assenza di aree individuabili alla mMRI.
In campo clinico la tecnologia di fusione delle immagini MRI ed ecografiche ha già trovato impiego in altri campi come la neuroradiologia.
L’utilizzo della MRI multiparametrica potrebbe essere in grado di ridurre il numero di biopsie prostatiche non necessarie, evitando diagnosi incidentali di microfocolai tumorali clinicamente non significativi a tutto vantaggio della qualità assistenziale per i nostri pazienti e delle esauste casse del sistema sanitario regionale.