P. Malacarne Anestesia e Rianimazione 6 e P.S. – AOUP

F. Forfori Anestesia e Rianimazione 4 – AOUP

Una infezione può mettere in pericolo la vita o per la localizzazione (ad es. a livello cerebrale o meningeo) o la non proporzionata entità della risposta dell’organismo sia in difetto, come ad es. nei pazienti immunodepressi, sia in eccesso, nella “sepsi” e nello “shock settico”.

Se per infezione intendiamo “la invasione da parte di microorganismi di tessuti normalmente sterili”, la sepsi si ha quando la risposta infiammatoria dell’ospite è eccessiva, sproporzionata e “disregolata”, determinando danni ad organi e apparati anche non direttamente interessati .

Sebbene la sepsi rappresenti una delle cause più frequenti di ricovero in terapia intensiva e morte tra la popolazione adulta nei paesi occidentali, nell’opinione pubblica resta  poco nota e temuta: parole come “cancro” o “infarto” o “ictus” evocano immediatamente un senso di paura e di possibile morte.

Parole come “sepsi” non generano  allarme, pur descrivendo una patologia che colpisce in Italia ogni anno migliaia di persone (più del tumore al seno e della prostata messi assieme), con una probabilità di morte per le forme gravi come lo shock settico superiore ad infarto del miocardio ed ictus. Ogni anno 60.000 malati muoiono per sepsi/shock settico, stimando una incidenza di 90-120 casi di sepsi / 100.000 abitanti / anno.

Similmente, la velocità e le terapie messe in atto nelle ore iniziali influenza in modo determinante l’outcome dei pazienti settici. L’aggravamento fino all’irreversibilità può essere prevenuto se il riconoscimento è tempestivo e gli interventi appropriati.

Fattori chiave sono la tempestività dell’identificazione del paziente, premessa fondamentale alla tempestività dell’intervento diagnostico-terapeutico (in particolare l’inizio della terapia antibiotica e la somministrazione di fluidi) e l’adeguatezza degli interventi secondo le indicazioni fornite dalle Linee Guida

Anche in ambito sanitario la sepsi è sottostimata: ne è prova il ritardo con cui troppo spesso i malati settici giungono al P.S. o con cui malati settici già degenti in Ospedale giungono alla attenzione del rianimatore: riconoscere tempestivamente in un malato con una infezione in atto la comparsa di sepsi, cioè la insorgenza di una disfunzione di organi non direttamente sede dell’infezione, è essenziale intraprendere una terapia di supporto generale cardiocircolatoria e metabolica e una antibioticoterapia che saranno tanto più efficaci quanto più precoci.

Per facilitare un riconoscimento più precoce dei pazienti con sepsi, nel mese di febbraio 2016 sono stati pubblicati i nuovi criteri di diagnosi:

– la sepsi è definita “disfunzione di organo con possibile pericolo di vita causata da una risposta disregolata dell’ospite all’infezione”; sul piano clinico il paziente con sepsi può essere identificato per la presenza di incremento di 2 o più punti nello score S.O.F.A. (Sepsis-Related Organ Failure Assessment, punteggio che definisce e gradua la disfunzione d’organo); la sepsi è associata a una mortalità ospedaliera del 10% (come potete notare sono scomparsi dalla definizione i segni della risposta infiammatoria sistemica -SIRS, ed è stato introdotto un sistema di misurazione del danno d’organo)

-lo shock settico è una sepsi nella quale si instaura una profonda anormalità circolatoria, cellulare e metabolica ed è associata a un rischio di mortalità superiore a quello della sepsi”. Sul piano clinico il malato con shock settico può essere identificato perché necessita di terapia con farmaci vasopressori per avere una pressione arteriosa media ≥ 65 mmHg e per la presenza di una lattacidemia > 2 mmol/L, in assenza di ipovolemia. Lo shock settico è associato a una mortalità ospedaliera del 40%.

Per individuare precocemente la disfunzione d’organo in ambiti non specialisti viene inoltre introdotto un nuovo strumento di diagnosi il “quick SOFA” che comprende la presenza di alterazione dello stato mentale, una frequenza respiratoria superiore a 22 atti/minuto ed una pressione sistolica inferiore od uguale a 100 mmHg. Nei pazienti affetti da un’infezione, la presenza di almeno due dei tre criteri identifica un paziente ad elevato rischio di deterioramento clinico con aumentata mortalità ospedaliera.

Un’altra differenza a sfavore della sepsi rispetto alle altre patologie “tempo dipendenti” stà nel fatto che ancora troppo tempo (in media 48-96 ore) passa tra la diagnosi clinica di sepsi con conseguente invio al laboratorio di microbiologia di esami colturali (in primis la emocoltura), e  l’identificazione del germe in causa e del suo pattern di suscettibilità: in questo lasso di tempo si deve optare per una terapia antibiotica empirica, che nel caso sempre più frequente di germi multiresistenti può risultare inappropriata. Un caposaldo è l’antibioticoterapia: sempre più ci troviamo di fronte a infezioni che evolvono in sepsi / shock settico causate da germi multi resistenti, in gram-negativi, e questo limita fortemente le possibilità terapeutiche. Le novità diagnostiche molecolari (PCR) e spettrofotometriche (MALDI-TOF) potranno essere d’aiuto nel ridurre a poche ore i tempi di risposta del laboratorio di microbiologia indirizzando il clinico verso la terapia più appropriata.

La cura dovrebbe richiedere l’intervento di molte figure professionali e di un modello clinico-organizzativo di riferimento simile a quello che utilizziamo nelle sindromi coronariche acute e nell’ictus cerebrale. Siamo  lontani da questa consapevolezza, e quindi dall’organizzare “sepsi team” ospedalieri o dal creare formazione per i medici che lavorano sul territorio.

Al fine di sensibilizzare l’opinione pubblica e le istituzioni al problema “sepsi” iniziative educazionali vengono lanciate dalle Società Scientifiche per enfatizzare l’importanza della malattia, e tra queste in particolare la giornata mondiale della sepsi che si svolge annualmente il 13 settembre.