GIUSEPPE FIGLINI

Direttore Responsabile

Un collega ci ha detto, preoccupato ed umiliato, che un suo paziente ha deciso di prendere la residenza in Toscana, perché l’assistenza per i gravi problemi di salute di cui soffre un familiare da noi sono a carico del Servizio Sanitario Regionale”.

Siamo costernati da questa situazione e comprendiamo il suo stato d’animo. In verità, non siamo sorpresi. Prima o poi sarebbe accaduto.

Noi medici siamo dei professionisti della salute e consideriamo malati e malattie tutti allo stesso livello. Eppure le scelte politiche, da 45 anni a questa parte, sono sempre andate verso la regionalizzazione della tutela della salute.

A lungo andare, però, il divario si è fatto via via più marcato. E queste drammatiche situazioni non coinvolgono più singoli casi, ma fanno ormai parte di un modo di pensare sotto la pressione soprattutto delle difficoltà economiche.

Proviamo a fare una proiezione, in un futuro anche non lontano: i giovani medici a cosa si troveranno di fronte? Ad una crescente migrazione sanitaria, con risvolti umani, professionali e pratici quantomeno preoccupanti. Esercitare in sostanza la professione in contesti regionali maggiormente in difficoltà di bilancio e dunque d’erogazione di servizi, peserà come un macigno sulla loro attività e sulla loro dignità. Senza trascurare l’ipotesi di un trasferimento in altre regioni più abbienti da parte degli stessi colleghi, di fatto una resa. Sarà poi frustrante

spiegare al malato che, in sanità, esiste un’Italia delle Regioni e che quindi, nascere in una oppure in un’altra, rappresenterà di per sè un marchio di livelli per qualità e quantità dell’assistenza.

Davvero non c’è che dire per un Paese che si muove, orgoglioso, verso un’Europa senza barriere e steccati. Quelli, in tema di salute, ce li mettiamo da soli e, per di più, a casa nostra. Chiamiamolo, dunque, un “harakiri della salute”, comunque prevedibile ed annunciato. Possiamo provare ad evitarlo?