F. Pancani Presidente CAO Pisa

Nelle passate settimane si sono verificati due eventi di notevole importanza per la categoria degli odontoiatri:

– L’approvazione del Nuovo Codice di Deontologia a Torino nei giorni 16-17 e 18 maggio u.s.

– Il Workshop di Cernobbio (CO) il 10 maggio.

Per quanto riguarda il Codice Deontologico l’Assemblea dei Presidenti CAO lo ha discusso ed approvato, trattando con particolare attenzione le tematiche sensibili alla nostra professione. Separatamente dal presente articolo sono annotate alcune considerazioni del Presidente Nazionale CAO Dr. Giuseppe Renzo.

Ma il tema prevalente di questo numero di Pisa Odontoiatrica è dettato dal Workshop di Cernobbio. Le relazioni, esposte da eminenti studiosi del settore, hanno cercato di chiarire i vari aspetti della crisi sociale ed economica in cui si trovano ad operare gli odontoiatri. Per meglio comprendere quanto ottimamente esposto dal Dr. Sandro Forte nel successivo articolo, ritengo sia utile fornire alcuni dati oggettivi ottenuti dal Centro Studi ANDI. Tutti noi ci rendiamo conto come ci sia stato un calo dei pazienti che frequentano i nostri studi, ma ancor maggior – anche a giudizio del Dr. Nicola Perrini – è stato il calo della qualità, e di conseguenza anche del valore economico delle nostre prestazioni. Usando certamente una iperbole si può dire che siamo pervenuti quasi ad una odontoiatria da Pronto Soccorso. Si va dal dentista se costretti non più per programmazione. La salute della bocca non è più posta fra le esigenze primarie della famiglia. Di contro la pletora odontoiatrica, l’immane numero di abusivi, complicano ancor più la situazione, perché il Paese non può assorbire, trovandosi in mezzo ad una crisi con un forte calo di richieste professionali, un così alto numero di odontoiatri. I giovani hanno difficoltà ad inserirsi nel lavoro e si crea disoccupazione, sottooccupazione e…prestanomismo. Ed anche gli studi avviati risentono della crisi. Continuano a lavorare, ma in minore quantità, con prestazioni di valore economico ridotto e con margini di profitto minori. Con tutto l’ottimismo possibile non è pensabile che la situazione torni ad esser quella precedente la crisi.

I dati del Centro Studi ANDI sono stati illustrati dal prof. Aldo Piperno. Nonostante l’evoluzione socio-economica determinata dalla crisi in molti settori, i dentisti in Italia lavorano ancora prevalentemente da soli o con qualche collaboratore. Le forme di aggregazione come società e studi associati sono ancora viste con diffidenza.

L’84,2% degli esercenti è titolare del proprio studio, solo l’11,9% è in società con un altro collega in uno studio associato, e solo il 2,6% lavora in forma di società di capitale. I collaboratori o dipendenti sono stabili: erano l’11% nel 2012, sono il 10,9% nel 2013. Di questi lavorano in un unico studio il 28,4%, in due studi il 26,3%, in tre il 21%, in quattro l’8,5%, ed in oltre il 15,8%. I titolari di studio rispetto al passato tendono a gestire solo uno studio (57,8%) od al massimo due (33,6%). In merito ai collaboratori il 58% degli studi ha almeno un collaboratore odontoiatra, il 31% un collaboratore igienista. Il 17,7% degli studi non ha una ASO, il 41,7% ne ha una, il 27,2% due, il 13,5% tre o più. Ben il 68,6% non ha segretaria. Negli ultimi 5 anni la forza lavoro negli studi odontoiatrici è rimasta invariata per il 63%, nel 20,1% c’è stato un aumento, mentre la riduzione ha colpito il 16,9% degli studi, che hanno fatto prevalentemente a meno delle ASO. Considerando che il totale dei dipendenti degli studi supera le 100 mila unità, la perdita verificatasi non è poca cosa. Ben il 44,2% degli studi ha dichiarato di non essere impegnato per le proprie potenzialità effettive, perché nel 94,9% dei casi mancano i pazienti, e di conseguenza ne risentono i ricavi.

Infatti il 71,1% degli studi ha avuto nel 2013 ricavi inferiori al 2012. I ricavi sono stati influenzati oltre che dal numero dei pazienti anche dalle  tariffe praticate: il 33%   ha tariffe più basse di quelle del tariffario indicativo ANDI, ed il 55%    non ha aumentato i prezzi.

Inoltre il tipo di prestazioni eseguite nel 2013 sui pazienti degli studi contribuiscono a spiegare il calo del valore economico delle stesse. Sono state richieste prestazioni di conservativa nel 71,1%, di sole visite di controllo nel 47%, di protesi nel 20,9%, per estrazioni nel 19,6%, per cure ortodontiche nel 7%, per cure parodontali nel 5,3%.

Le soluzioni che i dentisti ritengono corrette per superare la crisi sono varie:

– il 27,8% vuole riorganizzare il lavoro dello studio in maniera più efficiente;

– il 21,1% intende risparmiare sulle spese;

– il 13,5% ritiene giusto investire nello studio;

– il 12,6% vorrebbe trovare forme di aggregazione con altri colleghi;

– il 10% rivedrà le tariffe;

– il 9% si convenzionerà con fondi integrativi;

– il 6,1% cercherà nuove modalità di rapporto con la componente odontoiatrica del SSN.

A questo proposito ritengo opportuno richiamare la massima attenzione dei Colleghi sulla recente delibera regionale sulla odontoiatria. Essa è stata ampiamente pubblicizzata sulla stampa e sui media. Non essendo stata valutata preliminarmente dalla categoria, e presentando numerosi aspetti discutibili, sia per i pazienti che per gli odontoiatri, invitiamo tutti i colleghi alla massima cautela ed a chiedere preliminarmente indicazioni opportune al sindacato per certi aspetti ed all’Ordine per quanto di competenza.

A conclusione del presente articolo sottolineo che l’ISTAT nel suo rapporto annuale 2014 indica tra i motivi più frequenti per la rinuncia all’accesso delle cure la causa economica (50,4%).  Nel 2012 la quota dei cittadini che ha rinunciato alla cure non odontoiatriche è stata l’11,1%, ma ancor più elevata è la quota di persone che ha dovuto rinunciare a quelle odontoiatriche, che è il 14,3%, e di questi bel l’85,4% ha indicato nei motivi economici la causa della rinuncia.

Non rimane ad ognuno di noi che valutare questa  mole di dati rapportandola alla propria attività cercando di trarne un utile insegnamento.