S. Taddei Direttore U.O. Medicina Interna 1 – AOUP
F. Carmassi U.O. Medicina d’Urgenza Universitaria AOUP
Uno dei settori della ricerca farmacologica in grande fermento è negli ultimi anni sicuramente rappresentato dalla terapia anticoagulante per la quale, a ragione, è stata decretata l’inizio di una nuova era con l’introduzione di nuove e promettenti molecole.
La terapia anticoagulante costituisce, in particolare, il cardine del trattamento nella prevenzione primaria e secondaria dello stroke in pazienti con fibrillazione atriale e dell’embolia polmonare in pazienti con trombosi venosa, ambiti nei quali si sono concentrate le applicazioni dei nuovi farmaci anticoagulanti.
Il warfarin e gli altri antagonisti della vitamina K da oltre 50 anni rappresentano la terapia di riferimento, di provata efficacia, per la profilassi cardioembolica in particolare nei pazienti con fibrillazione atriale.
L’efficacia del warfarin nella prevenzione dell’ictus e delle tromboembolie sistemiche nei pazienti con fibrillazione atriale (FA) è stata ampiamente dimostrata in importanti trial clinici: la riduzione del rischio di ictus ottenibile con il warfarin è del 62%, con rischio emorragico associato complessivamente basso; l’incidenza annuale di emorragie maggiori è negli studi clinici pari all’1,3% nei pazienti trattati con warfarin. Tuttavia la realtà clinica si discosta da quella fotografata dai grandi trials dove i pazienti sono selezionati e seguiti con follow-up ravvicinati; si ritiene altamente probabile che il rischio emorragico secondario alla TAO sia maggiore. Diversi fattori anche intrinseci al trattamento, come la variabilità della scoagulazione, l’adeguatezza del follow-up, le interazioni farmacologiche, influenzano il rischio di sanguinamenti.
A fronte della loro provata efficacia, gli antagonisti della vitamina K presentano alcune limitazioni relative alle caratteristiche farmacocinetiche e farmacodinamiche che ne rendono difficoltoso l’impiego nella pratica clinica: lento inizio d’azione, imprevedibilità della risposta farmacologica determinata soprattutto dalla variabilità interindividuale nel metabolismo citocromo P450- dipendente, stretta finestra terapeutica, necessità di monitoraggio routinario dei fattori della coagulazione, necessità di frequenti aggiustamenti posologici, numerose interazioni farmacologiche ed alimentari. Nella pratica clinica tali limiti si traducono in: sottoutilizzo degli antagonisti della vitamina K, inadeguata anticoagulazione, frequenti interruzioni del trattamento.
La ricerca farmacologica e clinica si è quindi indirizzata verso lo sviluppo e la verifica dell’efficacia di nuovi agenti anticoagulanti, concentrando l’interesse verso molecole in grado di bloccare singoli e specifici step della cascata coagulatoria, in particolare il fattore Xa e la trombina.
DABIGATRAN Gli inibitori diretti della trombina agiscono modulando la trasformazione del fibrinogeno in fibrina e inibiscono l’attivazione trombina-mediata dei fattori V,VII, XI, XII con effetto anticoagulante; il blocco della trombina determina un’inibizione anche dei suoi effetti recettore-mediati ovvero l’aggregazione piastrinica.
Il dabigatran è un potente inibitore diretto reversibile della trombina, già approvato per la prevenzione primaria di episodi tromboembolici in pazienti adulti sottoposti a chirurgia elettiva totale dell’anca o del ginocchio in Europa ed in America.
L’iter di sviluppo clinico di tutti i nuovi farmaci anticoagulanti infatti prevede solitamente la valutazione dell’efficacia e della sicurezza nella prevenzione della tromboembolia in pazienti sottoposti ad interventi di chirurgia ortopedica, approccio questo molto utile data l’elevata incidenza di eventi trombotici in questa popolazione di pazienti e la possibilità di monitorare il rischio emorragico durante il periodo di ricovero32.
Le agenzie regolatorie degli USA, Canada, Giappone ed altri Paesi hanno già approvato l’utilizzo del dabigatran nella prevenzione dell’ictus e dell’embolia sistemica in pazienti adulti con fibrillazione atriale; nel mese di Aprile 2011 anche il Comitato per i Medicinali per Uso Umano (CHMP) dell’EMA ha dato parere favorevole per la stessa indicazione.
La revisione delle linee guida Americane per la gestione della fibrillazione atriale raccomanda in classe I l’uso del dabigatran in alternativa al warfarin per la prevenzione dello stroke e della tromboembolia sistemica in pazienti con FA parossistica o permanente e fattori di rischio per ictus o embolia in assenza di protesi valvolari, valvulopatie emodinamicamente significative, grave insufficienza renale o malattia epatica in fase avanzata. Nelle linee guida Europee ed Italiane il dabigatran è presente come alternativa al warfarin con classe di raccomandazione IIa.
Lo studio clinico di riferimento che ha dimostrato l’efficacia e la sicurezza in questo scenario clinico del dabigatran è il trial RE-LY che ha fornito la dimostrazione di un’alternativa farmacologica valida, sicura e maneggevole nella terapia anticoagulante: entrambi i dosaggi di dabigatran risultano non inferiori al warfarin nella prevenzione tromboembolica, inoltre al dosaggio di 110mgx2/die il dabigatran mostra superiorità rispetto al rischio emorragico e al dosaggio di 150mgx2/die superiorità rispetto al rischio di stroke ed embolia sistemica.
Accanto ai risultati di efficacia e sicurezza ulteriori vantaggi della terapia con dabigatran sono rappresentati dalla minore variabilità di risposta interindividuale, dal minor profilo di interazioni farmacologiche e dal fatto che non viene richiesto il monitoraggio routinario della coagulazione; mentre, accanto agli effetti collaterali documentati dallo studio RE-LY, svantaggi legati alla nuova terapia sono da ricercare nella mancanza di disponibilità di un antidoto specifico del dabigatran, pertanto in caso di severa emorragia è richiesta terapia di supporto con emotrasfusioni e trasfusioni di plasma; nella doppia somministrazione giornaliera che può ridurre la compliance terapeutica e negli elevati costi.
Le caratteristiche del paziente ideale per il trattamento con dabigatran non sono ancora definite, e difficile appare la decisione di convertire al trattamento con dabigatran pazienti in terapia con warfarin.
RIVAROXABAN – APIXABAN Il fattore Xa costituisce un target allettante per la progettazione di nuove molecole anticoagulanti: posizionato all’inizio della via comune della cascata coagulatoria la sua inibizione riduce la formazione di trombina sempre più a monte, ma non blocca la trombina circolante le cui tracce possono intervenire nell’emostasi conferendo a questa strategia terapeutica un profilo di sicurezza maggiore circa il rischio emorragico.
Il Rivaroxaban è stato approvato per la prevenzione del tromboembolismo venoso in pazienti sottoposti ad interventi di sostituzione di anca e ginocchio a seguito dei risultati di 4 studi di comparazione con enoxaparina del programma RECORD.
L’efficacia del rivaroxaban nella fibrillazione atriale è stata valutata nello studio ROCKET-AF49.
La Cardiovascular and Renal Drugs Advisory Committee della FDA ha valutato nello scorso Settembre i risultati dello studio ROCKET-AF ritenendo che la forte evidenza di non inferiorità rispetto al warfarin in una popolazione ad alto rischio sia sufficiente a supportare l’approvazione del farmaco per la prevenzione dello stroke nei pazienti con FA ma ha evidenziato alcuni elementi di riflessione: l’assenza di un confronto con dabigatran, trattamento alternativo al warfarin efficace ed approvato; il TTR dei pazienti trattati con warfarin, pari al 55% nello studio, è inferiore a quello di altri trials clinici, con un peso non trascurabile sull’incidenza di eventi in questo gruppo; la mono- somministrazione giornaliera del rivaroxaban non è realmente supportata da dati di farmacocinetica e farmacodinamica potendo una doppia somministrazione risultare più appropriata e vantaggiosa. Nelle considerazioni espresse dall’FDA viene suggerito la possibile indicazione del rivaroxaban in pazienti con inadeguata risposta o che non possono assumere warfarin o dabigatran.
Anche Apixaban è stato approvato per la prevenzione degli eventi tromboembolici venosi in pazienti adulti che vengono sottoposti ad interventi di sostituzione protesica dell’anca o del ginocchio.
La valutazione di apixaban nei pazienti affetti da fibrillazione atriale è stata effettuata con gli studi AVERROES e ARISTOTELE. Lo studio ARISTOTELE ha documentato, pertanto, una riduzione statisticamente significativa del rischio di stroke ed embolia, di sanguinamenti maggiori e di mortalità per tutte le cause con apixaban con un sovrapponibile profilo di effetti avversi a confronto con warfarin.
E’ dunque iniziata una nuova era nella terapia anticoagulante orale con l’introduzione di molecole che sembrano capaci di superare i limiti storici della TAO con antagonisti della vitamina K, e che potrebbero implementare significativamente la quota di pazienti trattati. Numerosi sono i vantaggi finora mostrati: prevedibilità della risposta, somministrazione di una dose fissa giornaliera, non necessità di monitoraggio della coagulazione, significativa riduzione del rischio emorragico, minime interazioni farmacologiche, assenza di interazioni alimentari; accanto ai quali occorre però sottolineare alcuni limiti dei nuovi trattamenti: assenza di sistemi di monitoraggio laboratoristico dell’effetto anticoagulante, mancanza di un antidoto in caso di sovradosaggio o emorragie, difficoltà a valutare l’aderenza del paziente alla terapia, necessità di conferma dei dati di efficacia e sicurezza negli scenari clinici reali, costi elevati.