Gian Ugo Berti Direttore Editoriale

Se vuoi farti capire, parla come mangi”. E siccome noi medici ci nutriamo né più né meno dei nostri pazienti, la logica suggerisce di dare ascolto a questo vecchio adagio. In più – a conforto – dobbiamo ricordare la non trascurabile evoluzione dei tempi e delle tecnologie.

Oggi, quando uno studente mi chiede un chiarimento – ci confida amareggiato ed un pò sconfortato l’amico docente – devo mettere in preventivo che si sia già documentato a fondo con internet sull’argomento e lo stesso avviene mediamente per i malati. “Dottore, da qualche giorno ho  questi disturbi”. La frase è ormai classica. Nemmeno però il tempo per me d’aprire bocca che già di gran lena comincia a sciorinare, storpiandoli, nomi di patologie le più strane, indagini strumentali senza fine, diagnosi differenziali con le più astruse affezioni. Una specie di rivendicazione culturale. Anche se promosso generale sul campo, il nostro paziente è un pò quando in cucina si mettono tanti ingredienti insieme nel frullatore senza una precisa logica, ma solo alla ricerca del cibo più gradevole e gustoso. Alla fine, il risultato è ovviamente a sorpresa.

Comunque – è bene precisarlo – non sono più i tempi de “la diabete” o “il broncopolmonite” oppure dei “focolai accesi” e la “vescica dell’orina”. Neanche quelli in cui la moglie confessa arrabbiata all’incredulo marito: “Ho domandato al professore come sta la mi’ mamma. M’ha fatto un monte di discorsi, però non ho capito nulla con tutti quei paroloni difficili (l’equivalente manzoniano del “latinorum”). Ora sai che fo’, ni mando a parlarci la mi’ figliola. Lei ha studiato e con tutti quei computer che aggeggia, lei sì che ci capisce.”

Dunque, cari e stimati colleghi, di chiunque sia la colpa od a chi appartengano le responsabilità, è giunto davvero il momento di cambiare le cose. Direi addirittura, è necessario ed ormai improcastinabile. Altrimenti si concretizza il rischio di non essere più seguiti, di venire fraintesi ma, soprattutto, dobbiamo prendere atto di un costante, inarrestabile mutamento della cultura in generale. Nel bene e nel male, cioè, la popolazione appare mediante più informata, non tanto sul piano della qualità, bensì della quantità. E sta dunque alla nostra esperienza e proverbiale saggezza, farci trovare pronti ad incanalare questo pressante flusso di novità nella giusta direzione, puntando diritto alla soluzione del problema.

Il linguaggio delle agenzie di stampa è un esempio paradigmatico d’un messaggio da non trascurare e da tenere nella doverosa considerazione: poche parole, soggetto, predicato, complemento, per rispondere agli interrogativi della gente davanti alla notizia ovvero ”chi”, “dove”, “quando”, “perché”.

In sostanza, non temiamo così facendo di scendere dal gradino della scienza, intesa come superiorità fra chi sa e chi non sa. La nostra figura rimane inalterata, non è infatti questo un motivo valido di declassamento. Il medico rimane il medico, meglio però se si fa capire. Anche perché il colloquio deve mantenersi chiaro e paritetico, pur nella permanenza dei ruoli, importanti, comunque diversi. E’ quindi soltanto un’efficace e funzionale risposta alla domanda di salute del cittadino, in un contesto sociale e sanitario fluttuante, sempre più delicato e complesso.

E’ al contempo una questione di dialettica generazionale. Fra il neolaureato e la fase conclusiva della carriera esiste un divario temporale di circa mezzo secolo. Appare ovvio come non poco modificati siano allora certi parametri culturali e di formazione professionale.

Padre, figlio e nipote, pur cresciuti giorno dopo giorno alla stessa scuola, si formano poi in modo differente, modulati da parametri più grandi di loro. Essere medici significa in definitiva essere portatori d’una scienza tutta particolare, unica ma, allo stesso tempo, protagonisti d’un indelebile raffronto umano con il paziente. Tutto cambia, tutto rimane. E’ vero. Ma è opportuno concordare però come sia importante che ogni cosa proceda nella giusta misura per l’uno e per l’altro. I punti di confronto sono come le traversine che tengono ferme le rotaie: guai se si allentassero i bulloni. Ognuno si distanzierebbe ed il treno della salute, il nostro bene più prezioso, deraglierebbe senz’altro.

Ridisegniamo allora, con umiltà e consapevolezza, questo storico impatto adeguandolo in maniera congrua ai tempi d’oggi. La tecnologia ed internet rappresentano soltanto un involucro che, seppur valido e funzionale, non scalfisce il contenuto. Anzi, se ben mantenuto, invece lo valorizza. Ciò non significa che, di colpo, tutti i colleghi debbano trasformarsi in abili internauti, ma comprenderne il significato pratico ed operativo, elemento complementare in ogni modo allo spirito di quel “Giuramento” che sempre rimane. Lì, teniamolo presente, non c’è internet che tenga. Così come curare sempre con i mezzi di quando ci siamo laureati, fino al termine dell’attività, non è accettabile, né produttivo, al contrario si dimostra comprensibilmente dannoso.

In conclusione, guardiamoci allo specchio, con obiettività e pacatezza d’intenti. Man mano che i capelli cambiano e s’imbiancano, troviamo la maniera di mantenerci aggiornati nei mezzi a disposizione e nella dialettica col paziente. Statene certi, non ci verrà il mal di pancia per questo.