G. Chiarini, S. Grassi, A. Russova, M.P. Urbani Medici di Medicina Generale

Con il trascorrere degli anni e l’avanzare nel cammino della nostra vita professionale, ci siamo interrogati su quale testimonianza sia determinante consegnare a coloro che si trovano sul nostro stesso percorso.

Nei trent’anni di esercizio della medicina generale abbiamo scoperto che questa testimonianza riguarda proprio la passione per l’incontro con il paziente, incontro che ha le caratteristiche di ripetersi giorno dopo giorno nel rapporto col malato, di interrogare costantemente il medico e di essere imprescindibile dall’esercizio dell’arte medica.

Nel corso di laurea in medicina e nell’offerta didattica successiva sono davvero rari, se non del tutto mancanti, momenti formativi alla relazione medico paziente, anche se, poi, ogni professionista si ritiene capace di farsi sul campo la propria sofferta esperienza, quando invece utilizza soltanto il proprio insufficiente buonsenso.

Si tratta di una formazione ancor più indispensabile, oggi, in cui l’ampliarsi delle frontiere della medicina e della tecnologia hanno reso il sapere medico più esigente anche se carente da un punto di vista relazionale.

Siamo tornati a frequentare e a sviluppare i gruppi proposti da Michael ed Enid Balint fin dagli anni 50 e diffusi in ambito internazionale. Dal 1969 si è costituita la Balint Society (balint.co.uk).

La metodologia mira a provocare nel medico una maggiore consapevolezza proprio su quegli aspetti emotivi-affettivi che egli stesso vive all’interno del rapporto con il “suo” paziente.

Balint Enid e Michael

Questi aspetti sono spesso misconosciuti da noi medici ed esaminati quasi sempre in solitudine; eppure caratterizzano la nostra attività clinica, tanto da spingere Balint a parlare del medico stesso come farmaco, non solo in quanto rimedio per il malato, ma in quanto capace di provocare “indesiderabili effetti secondari” sui pazienti.

Scrive, infatti, M.Balint in “Medico, paziente e malattia “ (1961): “La discussione rivelò ben presto che il farmaco di gran lunga più usato in medicina generale è il medico stesso, e cioè che non è soltanto la bottiglia di medicina o la scatola di pillole che contano, ma anche il modo in cui il medico offre al suo paziente, in verità tutta l’atmosfera in cui la medicina viene data e presa”.

Questa consapevolezza facilita la relazione tra il paziente e il proprio medico che impara ad ascoltarlo in modo attivo e a capire meglio i suoi reali bisogni, anche nell’ambito del poco tempo che trascorrono insieme nell’ambulatorio di medicina generale, come scrive Enid Balint in “Sei minuti per il paziente “ (1973): “Ascolta il paziente: ti sta dicendo la diagnosi!”.

Oltre all’esperienza vissuta negli anni attraverso la partecipazione ai gruppi Balint, tra i quali quelli da tempo organizzati per i MMG dall’Agenzia di Formazione dell’USL 11 Empoli in collaborazione con la sezione toscana della Società Italiana di Medicina Psicosomatica, stiamo frequentando ormai il terzo anno del corso triennale di formazione avanzata per conduttori di gruppi Balint promosso dall’Istituto di Formazione Psicosomatica di Firenze e dal Laboratorio di Formazione Sanitaria della Regione Toscana. Inoltre in collaborazione con l’U.O. di Formazione dell’USL5 Pisa, abbiamo realizzato alcune giornate ECM per MMG sulla proposta balintiana e, per il secondo anno, continua Pontedera l’esperienza del gruppo Balint articolato in sette incontri quindicinali con quattordici MMG.

Il metodo balintiano prevede incontri di formazione alla pari tra colleghi, coordinato da un conduttore esperto, e centrato su quella relazione con un paziente che ha lasciato una traccia nel vissuto del medico che presenta il caso al gruppo. Ogni partecipante può così rivivere le dinamiche che il caso risveglia in lui, e dare il proprio contributo all’elaborazione del caso stesso. Immancabilmente il medico relatore scopre aspetti di cui prima non si era accorto, e questa novità costituisce un momento di crescita per se stesso e per il gruppo.

Klaus Rohr, già Presidente della Società Svizzera di Medicina Psicosomatica e allievo di M. Balint, da noi incontrato in un seminario a Parma, dice che i gruppi Balint sono un’esperienza per “medici curiosi” e, potremmo aggiungere, anche per medici sull’orlo della crisi, ovvero della sindrome del ”burn out”, esaurimento psicofisico provocato da eventi stressogeni cronici. Ciò si verifica quando i medici, che non capiscono perché i pazienti sempre di più si rivolgono a loro con pretese crescenti se non proprio con aggressività, arrivano a sentirsi insufficienti e svalutati nonostante il tempo e la dedizione impiegati. A questo si aggiunge il pesante impegno informatico, la burocrazia imposta per via gerarchica e i limiti della spesa sanitaria.

Mettersi in gioco nel gruppo Balint non è fare una psicoterapia di gruppo, ma riflettere sulla relazione e sviluppare un serio strumento di prevenzione per la sindrome del burn out e di miglioramento delle capacità di prendersi cura, strumento che diviene, nel tempo, una forma mentis senza pretesa di dare linee guida di comportamento.