A. Zampieri

Libero Docente in Semeiotica Medica – Specialista in Storia della Medicina

Domenico Cotugno nacque il 29 gennaio 1736 a Ruvo di Puglia, da gente di umile condizione; apprese in patria i primi elementi della lingua latina, che perfezionò poi nel seminario di Molfetta, in cui restò fino al 1748. Di intelligenza molto sveglia e pronta, fu inviato nel 1753 a studiare medicina a Napoli, vincendo l’anno successivo un posto di assistente all’ospedale degli Incurabili. Conseguita la laurea nello Studio di Salerno nel 1756, si dedicò subito alla ricerca anatomica e clinica. A 25 anni fu scelto ad insegnare chirurgia per gli interni dell’ospedale; continuò frattanto i suoi prediletti studi, che lo portarono in breve tempo a scoprire il liquido labirintico, gli acquedotti del vestibolo e della chiocciola dell’orecchio interno.

Nel 1764 si occupò della grave epidemia di tifo petecchiale che infieriva a Napoli e che definì “febbre corruttoria italica”.

Nello stesso anno pubblicò i suoi lavori sulla sciatica, illustrandone la causa ed indicandone la cura. Nel 1765 intraprese un viaggio per approfondire le sue conoscenze mediche attraverso l’Italia, in particolare per voler personalmente conoscere il grande Morgagni.

Ritornato in patria, a soli 30 anni, dopo pubblico concorso, ottenne la cattedra, resasi vacante, di anatomia all’università; le sue lezioni erano frequentatissime e molto apprezzate dagli studenti.

Nel 1769 si occupò anche di vaiolo. Fu poi nominato medico primario degli Incurabili ed iniziò a pubblicare un trattato di istituzioni chirurgiche, di cui fu però stampato un solo foglio.

Formò una ricchissima biblioteca e si occupò anche di letteratura, di arte e di archeologia. Stimato e ricercato anche nella pratica professionale, nel 1783 guarì da una grave malattia il duca di Calabria e seguì poi come medico di camera Ferdinando IV nel suo viaggio in Austria e Baviera.

Nel 1802 fece parte del comitato per l’arricchimento della biblioteca reale di Napoli. Fu più volte decano della facoltà medica, rettore dell’ateneo, preside della locale Accademia delle Scienze e socio delle più importanti accademie d’Italia e d’Europa e nominato archiatra nel 1808.

Continuò la sua attività ospedaliera fino agli ultimi anni della sua vita e morendo, lasciò una ricca donazione all’ospedale ove per tanto tempo aveva servito, mentre con le altre parti del suo patrimonio aveva provveduto ai parenti e alla dama di corte Ippolita Ruffo di Bagnara, che aveva sposato nel 1794 ma dalla quale non ebbe figli.

Compianto da tutti, morì il 6 ottobre 1822 per un attacco di apoplessia cerebrale e fu sepolto nella chiesa dei Padri della Missione.

Di carattere grandemente caritatevole, visse semplicemente per la scienza; ebbe una grande amicizia con il Morgagni e fu vero amico del martire della libertà napoletana, Domenico Cirillo, e degli altri patrioti.

Dei suoi numerosi scritti, oltre alle prime ricerche sull’orecchio interno, ricordiamo in particolare la dissertazione De Ischiade nervosa edita a Napoli nel 1764, che lo fece conoscere e lo rese celebre;

D. Cotugno, De ischiade nervosa, Neapoli, 1779

poi il De sedibus variolorum syntagma del 1769, il discorso accademico del 1772 Dello spirito della medicina, ed una Memoria sul meccanismo del moto reciproco del sangue, edita nel 1788. Alcuni suoi manoscritti sono conservati nella Biblioteca Nazionale di Napoli.

Discendente da una illustre famiglia, Domenico Cirillo nacque nel 1739 a Grumo, località vicino a Napoli, e a circa sette anni fu inviato a Napoli per iniziare gli studi che fece sotto la guida dello zio Santo, che l’avviò al disegno; poco dopo i quindici anni si iscrisse ai corsi di medicina dell’università, dedicandosi con entusiasmo anche alla botanica. Laureatosi nel 1759, l’anno dopo per le sue conoscenze naturalistiche vinse il concorso per la cattedra di botanica dedicandosi allo studio delle opere di Linneo ed entrando anche in corrispondenza con lui. Rinnovò l’insegnamento di questa materia, creando un valido nucleo di allievi. Nel 1777 lasciò questo incarico per quello prima di medicina teorica, e poi per quello di pratica. Insegnò inoltre fisiologia ed ostetricia nell’Ospedale degli Incurabili. Fu curante di buona parte dell’aristocrazia ed anche della famiglia reale e ciò creò contro di lui risentimenti ed invidie.

Viaggiò molto in patria e all’estero, facendo conoscenza con i più illustri studiosi del tempo ed in Inghilterra fu accolto nella Royal Society, fece anche parte della massoneria.

Ostile al governo reale, proclamata la Repubblica Partenopea, dopo alcune perplessità entrò a far parte della Commissione legislativa; caduta la repubblica e restaurato Ferdinando IV di Borbone, cercò di fuggire per riparare in Francia, ma fu arrestato insieme agli altri patrioti e condannato a morte. Dopo non aver voluto richiedere la grazia, fu giustiziato il 29 ottobre 1799. Poche settimane prima la sua casa era stata saccheggiata e data alle fiamme dalle bande sanfediste, andando così distrutto il suo vasto patrimonio di testi, di manoscritti e di collezioni.

Nobile figura di medico, di scienziato illuminista e di patriota, la sua opera fu spesa a favore della società e delle sue istituzioni, specie riguardanti l’organizzazione degli ospedali e delle prigioni.

D. Cirillo, Nosologiae methodicae rudimenta, Neapoli, 1780

Fu anche un valente botanico, eccellente clinico, ottimo oratore, e le sue lezioni erano seguite da un folto ed entusiastico pubblico. Le sue ricerche furono in particolare dirette a studiare le malattie veneree.

Fra le sue pubblicazioni di argomento medico, ricordiamo nel 1780 il De lue venerea, poi tradotto tre anni dopo in italiano come Osservazioni pratiche intorno alla lue venerea, quindi una memoria sull’uso dell’unguento di sublimato corrosivo nella stessa malattia ed inoltre un conciso manuale di patologia. Sempre nella sua città, stampò nel 1783 il Tractatus de pulsibus, in cui propone lo studio delle pulsazioni come indice delle malattie del corpo umano; oltre ai Discorsi accademici, altre sue opere riguardano l’idrologia e la farmacologia; mentre altri studi sono invece di interesse botanico, sia riguardanti la didattica come la ricerca. Due volumi manoscritti, relativi a casi clinici da lui osservati negli anni 1775-79, sono conservati nel Museo nazionale di S. Martino.

Antonio Cocchi fu un grande erudito del Settecento. Nacque nel 1695 a Benevento, ove  il padre si trovava per lavoro, come procuratore del fiorentino marchese Rinuccini da una famiglia nativa nel Mugello. Fece i suoi primi studi a Firenze alla scuola degli Scolopi con ottimi risultati e, sentendosi portato alle scienze, si iscrisse a medicina nell’Ateneo pisano, laureandosi qui nel 1716.

Tornato nella sua città, dopo aver frequentato, per perfezionarsi nella pratica, l’ospedale di S.Maria Nuova, fu iscritto al locale ordine dei medici; poco dopo ebbe un incarico come medico militare del presidio spagnolo di Porto Longone all’Isola d’Elba, ove rimase per un anno. Rientrato a Firenze, si mise ad esercitare privatamente la professione, dedicandosi inoltre con impegno allo studio delle lingue classiche e moderne, avendo l’abitudine, che non tralascerà mai, di tenere un dettagliato diario (noto poi come Effemeridi) dei suoi interessi, degli incontri avuti e degli avvenimenti occorsigli nella vita. Conosciuto e stimato per la sua cultura, fu invitato e seguì il conte di Huntington a seguirlo in Inghilterra nel 1722 e, dopo un lungo viaggio, passando per la Germania e la Francia, si fermò a Londra per circa quattro anni, approfondendo i suoi studi ed esercitando con successo la medicina, inserendosi facilmente, data la sua grande erudizione, nei circoli nobiliari e scientifici locali, ricevendo ovunque grandi accoglienze ed attestazioni di stima.

Tornato in Toscana, attraversando l’Olanda e la Germania, per interessamento del marchese Carlo Rinuccini, gli fu affidata nel 1726 dal granduca Gian Gastone la cattedra di lettore straordinario di Medicina teorica nello Studio pisano ed in questa occasione lesse una prolusione, poi stampata,dal titolo Medicinae laudatio Pisis publice habita. Irritato per le invidie e pettegolezzi dei colleghi, contrari a molte delle sue idee innovatrici, tornò a Firenze, dove nel 1736 gli fu conferito l’insegnamento di anatomia nell’ospedale di S.Maria Nuova; fu nominato antiquario granducale ed incaricato di riordinare la Biblioteca Magliabechiana, fu il primo toscano ad essere affiliato alla massoneria. Nel 1742 gli fu affidata anche la preparazione pratica degli studenti ed impostò i corsi su nuove basi, affidando a ciascuno degli allievi due pazienti da seguire, sui quali periodicamente dovevano relazionare. Fu poi ordinario di anatomia all’università di Pisa dal 1746 al 1754.

A. Cocchi, Discorsi di anatomia, Firenze, 1745

Nel 1753 fu tra i membri della commissione nominata dal collegio medico per studiare i provvedimenti medici contro i tisici.

Numerosissimi i suoi consulti, scritti in lingua purissima, solo 159 di quelli privati verranno poi pubblicati nel 1791. Notevole la vastità dei suoi interessi, di letterato, di filosofo, di bibliofilo, di studioso delle antichità, di naturalista.

Nel 1750, per ordine del granduca, scrisse un trattato Dei Bagni di Pisa, riguardante le terme di San Giuliano, una approfondita monografia sulla posizione del luogo e le caratteristiche curative di queste acque.

Delle sue opere mediche, ricordiamo il Discorso sul vitto pitagorico del 1743, in cui propugna, per conservare la salute, una dieta semplice a base di vegetali ed acqua purissima; una dissertazione Sopra l’uso esterno presso gli antichi dell’acqua fredda sul corpo umano; il Discorso primo sopra Asclepiade, rimasto poi incompleto; ed i Discorsi di anatomia.

A. Cocchi, Discorso primo sopra Asclepiade, In Firenze, 1758

Si occupò anche di antichi testi di chirurgia greci, che raccolse e commentò.

A. Cocchi, Graecorum Sorani Oribasii NicetaeFlorentiae, 1754

Affetto da tempo da una malattia cardiaca, morì il 1° gennaio 1758 e fu sepolto in S.Croce.

Antonio Cocchi ebbe due mogli e dalla seconda due figli, di cui il maschio, Raimondo, seguirà la professione paterna.