G. Bozzi – A. Saviozzi Sezione di Medicina della Donazione Organi e Tessuti – A.O.U.P.
Si parla molto dei trapianti per il loro altissimo valore terapeutico e sociale e per l’inevitabile effetto mediatico che, a volte, può fare un pò velo a ciò che li precede, vale a dire all’altrettanto straordinaria frontiera della medicina che si occupa della donazione.
Infatti, se la chirurgia dei trapianti viene, a ragione, universalmente considerata una insostituibile opportunità terapeutica capace di risolvere positivamente situazioni di rischio o di danno per la vita, lo stesso credito non è, spesso, diretto agli aspetti donativi che trovano i cardini della propria sussistenza nella espressione/acquisizione di un consenso informato, nella certezza dell’accertamento della morte e nel corretto svolgimento delle procedure indispensabili per il compimento dell’iter clinico – organizzativo che termina col prelievo degli organi e/o tessuti.
In altre parole, donazione e trapianto sono un unico evento che si concretizza attraverso l’attuazione di due fasi susseguenti delle quali, la prima, si mostra ancora non perfettamente a fuoco.
Tuttavia, nel breve volgere di pochi anni, grazie ai sanitari che sono stati anticipatori ed edificatori di questo settore, ci siamo trovati immersi nella complessità operativa che la medicina della donazione oggi richiede.
Ciò ha determinato, per gli operatori addetti, il progressivo rafforzamento della loro definizione professionale e l’adesione sempre più marcata alle altre specialità mediche portando in dote il proprio bagaglio clinico, epidemiologico, relazionale e organizzativo necessario per l’esercizio pratico.
Inoltre, fuori dall’ambito meramente professionale ed inserita in un contesto più ampio, la donazione nella sua fase evolutiva, continua ad accendere coinvolgenti e spesso incerti dibattiti nell’opinione pubblica sulle argomentazioni medico-legali, giuridiche ed etiche che ne sono parte integrante.
Come detto in precedenza gli aspetti organizzativi e clinico – epidemiologici, che caratterizzano gli eventi donativi, sono per la maggior parte in via di chiarimento ma permangono, ancora non tutti spiegati, quelli sociali che sostano in un limbo da dove possono dare origine ad un incerto senso di solidarietà nella popolazione generale.
Questo è ciò che vorremmo focalizzare in questo articolo.
Fatta salva, ovviamente, la legittima determinazione dei singoli di dirsi contrari alla donazione, le istituzioni, le associazioni e i professionisti hanno il dovere di fornire sempre più incisivamente le necessarie informazioni e di mettere in atto tutte le iniziative atte a consentire che una volontà consapevole possa diventare un valore sociale concreto e diffuso.
Abbiamo avuto modo di dire, a questo proposito e in più occasioni, che la donazione non si raccoglie ma si costruisce intendendo per costruire l’energia organizzativa spesa affinché un gesto singolo possa diventare un comportamento collettivo con indubbi vantaggi sistemici.
La costruzione, come sempre, inizia dalle fondamenta vale a dire dal linguaggio; dovremo quindi prestare la massima attenzione al modo con cui andiamo a presentare argomenti difficili come quello della donazione di organi e tessuti post – mortem .
Dobbiamo tenere sempre presente che i modi con i quali tali tematiche vengono affrontate vanno inevitabilmente ad influenzare le conseguenti azioni di chi ascolta.
E’ necessario perciò evitare la naturale tendenza ad usare un linguaggio omissivo che affronta solo alcuni aspetti della questione e ne tralascia, in maniera accorta, altri altrettanto importanti e significativi.
Non dobbiamo temere l’opposizione dell’individuo a fronte di una corretta ed esaustiva informazione ma, al contrario, una eventuale autorizzazione in carenza di notizie fondamentali per costruire un pieno e consapevole consenso informato.
Il nostro punto di arrivo deve essere quello di aumentare la fiducia dei cittadini verso il sistema della donazione, puntando sulla sicurezza, la trasparenza e l’efficienza della rete regionale e nazionale.
Non dimentichiamo che, su temi sensibili ci sono espressioni che entrano nel linguaggio comune passando attraverso molti filtri mediatici e differenti vissuti personali.
La morte “cerebrale” è una di queste e viene spesso male divulgata, confusa con lo stato di coma più o meno profondo, forzata al punto da farle assumere significati a volte completamente fuorvianti.
Per questo, nelle occasioni in cui ci viene chiesto di chiarire dobbiamo, con molta onestà, dare una corretta informazione tenendo ben presente che, il contrario, potrà essere causa di inutili sofferenze creando non realistiche attese nei familiari dei pazienti in questa condizione clinica.
In un articolo del 2003, pubblicato proprio su questa rivista, scrivemmo che “l’informazione in tema di donazione di organi e tessuti è carente o quanto meno non perfettamente adeguata alla realtà del fenomeno e può comportare un alto numero di opposizioni”; crediamo che a distanza di alcuni anni la situazione, in generale, sia solo di poco migliorata.
La non adeguatezza dell’informazione è collocata prevalentemente negli aspetti tecnici del linguaggio usato per far arrivare il messaggio ad un determinato target sociale.
E’ infatti, a nostro avviso, superata la fase dell’informazione indifferenziata e non controllata attraverso la quale si è inteso dare la massima efficacia al messaggio educativo.
Crediamo che sia diventato cogente il fatto di dover provvedere alla più ampia normalizzazione del linguaggio specifico, specie nelle sedi Istituzionali, in modo da evitare, il più possibile, le situazioni di diversificazione delle definizioni e delle conoscenze.
Abbiamo fatto riferimento al target sociale a cui deve essere rivolta l’informazione; ebbene questo prima di essere raggiunto deve essere individuato scientificamente.
Lo studio dell’epidemiologia dei decessi nosocomiali ci ha fornito indicazioni molto significative e può, senz’altro, aiutare nella scelta delle strategie comunicative.
Oggi, l’età media dei donatori di organi in Italia è di circa 65 anni e di 68 in Toscana (era poco più di 50 a. nel 2002) ma, in molti casi, si continua a parlare un linguaggio e ad usare strumenti di comunicazione, per molti aspetti, superati.
L’informazione che dobbiamo a tutti i cittadini non può essere statica ma, al contrario, deve possedere quella vigorosa dinamicità che le consenta di modificarsi al variare della situazione epidemiologica locale e nazionale.
Il messaggio non può essere lo stesso per tutte le età: ancora troppi sono gli ultrasessantenni che ritengono di non poter, eventualmente, donare i propri organi per motivi anagrafici.
La sfida che ci attende, nel prossimo futuro, è di riuscire a dare risposta al debito informativo nella maniera più adeguata ed incisiva possibile.