D. Gandini Specialista in Chirurgia Plastica Ricostruttiva ed Estetica – Casa di Cura S. Rossore, Pisa
Vado in giro per il mondo ad operare nei paesi poveri dal 1995; fino all’anno scorso, quando ho lasciato il mio posto di ruolo in Chirurgia Plastica nell’Azienda Ospedaliera Pisana, utilizzavo le ferie, dato che purtroppo questo tipo di attività non prevede in Italia di poter utilizzare comandi mantenendo un minimo di retribuzione.
Dal 2010 sono libero professionista e perciò ho meno difficoltà a trovare almeno un mese all’anno da dedicare alle missioni umanitarie.
In Agosto si è conclusa la mia seconda missione chirurgica in Uganda con Interplast Italy, la mia tredicesima nel mondo come chirurgo plastico volontario. Interplast Italy (www.interplastitaly.it) è una piccola associazione italiana di volontariato in chirurgia plastica di cui faccio parte. Interplast nacque negli Stati Uniti agli inizi degli anni ottanta e si è poi sviluppata anche in altri paesi: Germania, Olanda, Australia, Italia, Francia. In Italia è nata nel 1988, ed è tuttora diretta da Paolo Morselli, chirurgo plastico bolognese.
Nel nostro paese, inscritti alla Società Italiana di Chirurgia Plastica Ricostruttiva ed Estetica siamo circa ottocento; in Interplast, come chirurghi che si recano costantemente a fare chirurgia ricostruttiva all’estero siamo…sei! Tutta l’associazione, tra medici, infermieri e collaboratori, conta all’incirca venticinque persone. Io ne entrai a far parte nel 1995 con il Prof. Paolo Santoni Rugiu, fondatore della scuola pisana di chirurgia plastica, morto in Danimarca due anni fa. Paolo Santoni mi volle con lui per una prima missione in Zambia, in Africa Centrale nell’estate 1995; lì tornammo, negli anni successivi, per ben sei volte, sempre con Interplast Italy riuscendo ad operare moltissimi pazienti con gravi esiti di ustioni e malformazioni congenite ed acquisite. In Zambia tornai poi da solo come capo missione per un’ultima volta nel 2004, mentre Paolo Santoni si recava ad operare con Emergency prima in Iraq, anche durante la guerra, e poi in Cambogia per operare le vittime da mine e le malformazioni causate dai defolianti bellici (agent orange) che tuttora, in quelle zone provocano gravissime malformazioni congenite soprattutto degli arti (gravi sindattilie, focomelie).
Io proseguii invece con Interplast recandomi per due volte in Tibet (2004 e 2005) in due indimenticabili missioni a Shigatse e Lhasa, dove in due sole missioni operammo più di duecento bambini con labiopalatoschisi. Poi sono stato in Cina, a Yushu, sempre sull’altipiano tibetano, cittadina sperduta a mille chilometri di strada sterrata dalla prima città cinese, Xining. Yushu, grande all’incirca come Pontedera è stata poi completamente rasa al suolo da un terremoto nel maggio 2008; che provocò in quella zona (il Sichuan) circa novantamila morti.

Figura 1: Yushu (Tibet) 2007, in sala con un piccolo paziente
L’anno successivo organizzai e diressi la prima missione di Interplast in Uganda (70 pazienti operati) quindi nel dicembre 2009 andai in Bolivia (Sudamerica) dove dopo aver passato il capodanno su un aereo uruguayano tra S. Paolo del Brasile e Santa Cruz de la Sierra, operammo 75 persone in due settimane.

Figura 2: Daniele Gandini con un piccolo paziente ugandese
Interplast è una onlus di volontariato, costituita da chirurghi plastici, anestesisti, infermieri ma anche volontari non dell’ambiente sanitario, che dedicano il loro tempo libero per operare nei paesi poveri del mondo.

Figura 3: Uganda 2011, il team Interplast con i pazienti operati
Ogni team si porta dietro tutto il materiale necessario per operare: apparecchiature, farmaci, medicazioni, strumentario, materiali di consumo; questo per poter lavorare in completa autonomia senza gravare sulle risorse degli ospedali dove si va a lavorare. A fine missione tutto il materiale di consumo viene sempre lasciato in donazione all’ospedale ospitante eccetto le apparecchiature e gli strumenti chirurgici che vengono sempre reimportati. Interplast effettua esclusivamente interventi di chirurgia plastica ricostruttiva, quindi su malformazioni congenite del viso e degli arti (labiopalatoschisi, malformazioni della mano), gravi retrazioni da ustione ed esiti di traumi; tutte cose che in quelle zone di solito non vengono mai trattate, essendo la chirurgia plastica una specialità che nel terzo mondo è praticamente inesistente. In quei contesti, questa chirurgia è spesso indispensabile per la stessa sopravvivenza delle persone; soprattutto in realtà come quella centroafricana, il malformato o l’incapace a muoversi a causa di cicatrici retraenti viene escluso dalla società e spesso lasciato ai margini della comunità, e destinato perciò a morire.
La preparazione delle missioni richiede sempre molti mesi di lavoro e diplomazia per stabilire e curare i contatti con i paesi, cercando di rispettare al massimo le loro regole, la loro cultura, senza ledere equilibri etnici, politici, religiosi del paese ospitante, ma soprattutto per sollecitare con garbo la collaborazione degli operatori sanitari locali, cosa che avviene sempre. Lo scopo fondamentale di Interplast è infatti, oltre che andare ed operare piu gente possibile in breve tempo e nel migliore dei modi, anche di trasmettere esperienza, insegnare e collaborare col personale locale, ed integrare sempre l’attività pratica con attività didattica; e questo è quello che facciamo sempre.
In alcuni casi siamo riusciti a far venire in Italia medici e infermieri per periodi anche lunghi, per specializzarsi o affinare particolari tecniche operatorie.
In Uganda, il Dott. Edris Kalanzi Wamala, membro di questa mia ultima missione e già venuto con me in altre due missioni africane, si è specializzato cinque anni fa con me a Pisa ed ora è perfettamente autonomo ed è uno dei soli tre chirurghi plastici del suo paese; lavora al Mulago Hospital di Kampala e si sposta continuamente per l’Uganda per operare.

Figura 4: Uganda 2011, Daniele Gandini in sala con il Dr. Kalanzi Wamala
Il team di quest’anno era composto da chirurghi ed infermieri di Torino e di Pisa. Partiti da Amsterdam abbiamo raggiunto Entebbe (Uganda) dopo scalo in Rwanda. La destinazione finale è stata quindi la piccola città di Fort Portal, raggiunta dopo 7 ore di strada decisamente…dissestata!. Fort Portal è la terza città dell’Uganda, ad ovest del paese, a 1700 metri di altitudine, alle propaggini della catena montuosa del Rwenzori, tra Uganda e Congo. Il Rwenzori è un imponente massiccio montuoso con cime oltre i cinquemila metri, sempre innevate, nonostante si sia sull’equatore.
Il Rwenzori venne per la prima volta visto da uomini bianchi a fine ottocento. In queste zone infatti transitarono il medico esploratore David Livingstone prima, e l’inglese Morton Stanley dopo, che lo cercava in giro per l’Africa. Le esplorazioni in queste zone avevano lo scopo di trovare i cosiddetti “monti della luna” (mountains of the moon) che erano proprio il massiccio del Rwenzori, sul quale si credeva ci fossero le misteriose sorgenti del fiume Nilo. Il Nilo si scoprì invece in seguito che nasce sempre in Uganda, ma non dal Rwenzori ma come emissario del Lago Vittoria.
Quest’anno, a Fort Portal abbiamo lavorato nell’unico ospedale della zona, il “Fort Portal Referreal Hospital”, che, come sempre succede in Africa, era privo anche del minimo indispensabile.
Quella zona dell’Uganda non è particolarmente disgraziata, il terreno è estremamente fertile, hanno acqua in abbondanza e dovunque cresce ogni tipo di frutta (banane, ananas, avocado) inoltre nella zona, essendo in quota, si produce una grande quantità di ottimo tè che viene esportato. Con un particolare tipo di banane non dolci fanno una specie di polenta (il matoke) che fa da base a piatti di verdura e, quando possono, di carne o pesce di lago (la tilapia). Ovviamente in ospedale mangiavamo sempre insieme al personale locale, le loro semplici cose, peraltro veramente molto buone. La popolazione perciò, nonostante un reddito pro capite bassissimo riesce in qualche modo a vivere.
L’assistenza sanitaria è in quelle zone purtroppo quasi inesistente, nel senso che i medici ci sono, e sono anche molto preparati (nella capitale Kampala c’è la Makerere University, la piu famosa scuola di medicina d’Africa) ma sono privi del minimo per lavorare. Abbiamo visto aprire l’addome a bambini di pochi anni con perforazioni intestinali da tifo senza bisturi elettrico, aspiratore, garze adatte, tutto con le mani, come nell’ottocento, eppure questi poveri bambini nonostante tutto spesso sopravvivevano.
Il nostro team, in meno di due settimane, lavorando 11 ore al giorno è riuscito in questa missione ad operare 110 pazienti, perlopiù bambini, con le patologie più svariate: labiopalatoschisi, retrazioni da ustione, donne con grandi ernie dell’addome post partum, cicatrici cheloidee, neoplasie cutanee.

Figura 5: Una piccola paziente ugandese
Gli interventi sono andati tutti molto bene, senza complicanze o infezioni (la sensibilità agli antibiotici è elevatissima). Tutti gli interventi sono stati importanti per quella povera gente, ma alcuni sono stati di una particolarità davvero commovente, anche per noi, che siamo abbastanza abituati. Benedict, ragazzo muto di 17 anni venne a visita in ambulatorio strisciando sui glutei, aiutandosi con le mani dove aveva messo un secondo paio di vecchie scarpe, praticamente si trascinava seduto ormai da anni perche una ustione delle ginocchia gli impediva di stendere le gambe. Con un intervento abbastanza semplice, in meno di un’ora gli ho raddrizzato le gambe, con il dubbio però che senza una adeguata fisioterapia avrebbe avuto delle difficoltà. Dopo cinque giorni, mentre operavamo, l’infermiera della corsia ci chiamò a gran voce, uscimmo di sala e Benedict stava per la prima volta, dopo anni, camminando in giro per l’ospedale! Vi potete immaginare la commozione di tutti noi.. credo che anche solo un intervento come questo, possa valere.. l’intera missione!
Tanti altri interventi sono stati ugualmente di enorme beneficio ai pazienti e grande soddisfazione per noi, come la ragazza di sedici anni con due mammelle enormi, che pesavano cinque chili ciascuna, piene di fibroadenomi giganti ulcerati, che la rendevano ripudiata da tutti e la costringevano a camminare curva e dolorante, tornata alla vita e “sposabile” in…sole tre ore di mastoplastica riduttiva, con una splendida e normale.. terza misura! O il bambino di soli quattro mesi con grave ustione del viso, infetta e dolorosa, che nessuno medicava da mesi, guarito in soli sette giorni di medicazioni avanzate che lì non hanno perché troppo costose.
Concludo, felice di poter condividere con tutti i medici pisani queste mie esperienze, e poter ricordare ancora una volta che la chirurgia plastica non è solo l’estetica come spesso purtroppo si è portati a credere, ma può “nascondere” anche aspetti meno conosciuti. Un cordiale e affettuoso saluto a tutti i colleghi pisani anche se da un pisano solo.. “acquisito” dato che vivo qui da 47 anni ma sono nato a… Siena! (nella contrada del drago).