S. Buralli – F. Stea – L. Ghiadoni – S. Taddei Dipartimento di Medicina Interna, Università di Pisa

L’ipertensione essenziale rappresenta oggi il più importante fattore di rischio per la patologia cardiovascolare.

Il rischio di eventi è direttamente proporzionale all’aumento dei valori pressori, tuttavia le complicanze cardiovascolari associate all’ipertensione arteriosa sono più frequenti in presenza di alterazioni subcliniche cardiovascolari come l’ipertrofia ventricolare sinistra e l’ispessimento medio-intimale carotideo, che infatti devono essere considerati per una corretta stratificazione del rischio cardiovascolare globale dei pazienti con ipertensione arteriosa.

Oggi è possibile valutare anche alcune alterazioni vascolari e cardiache precoci, sia funzionali che strutturali, che si associano all’ipertensione arteriosa, come l’aumento della rigidità arteriosa, che recentemente è stata inserita nelle linee guida delle Società  Europee di Ipertensione Arteriosa e di Cardiologia e la disfunzione diastolica.

Il principale va-so arterioso, l’aorta e le sue prime diramazioni hanno per la circolazione sanguigna funzione di “condotto” ma anche di “serbatoio”: accolgono il sangue dilatandosi elasticamente durante la sistole per poi restituirlo in diastole, contribuendo così a convertire il flusso sanguigno da intermittente a continuo e a mantenere la perfusione periferica. L’irrigidimento dei vasi con l’avanzare dell’età è responsabile del progressivo aumento dei valori sistolici e dell’elevata prevalenza di ipertensione sistolica isolata negli anziani. Dal punto di vista fisiopatologico, l’irrigidimento delle arterie può favorire il danno d’organo in altri distretti attraverso l’aumento della pressione sistolica e quindi del lavoro e delle richieste di ossigeno del miocardio. Sfruttando il  principio  che la velocità di propagazione dell’onda di pulsazione è legata inversamente alla distensibilità del tubo,  la rigidità arteriosa può essere misurata come velocità dell’onda pressoria (Pulse Wave Velocity, PWV).

Figura 1: Rappresentazione schematica della tecnica tonometrica per la misurazione della Pulse Wave Velocity (PWV) aortica.

Questa misura, precedentemente possibile solo con studi invasivi (attraverso il cateterismo arterioso), è oggi effettuabile in modo non invasivo, semplice e riproducibile. La PWV aortica è di solito misurata registrando con un tonometro l’onda pressoria per via transcutanea a livello della carotide comune e dell’arteria femorale, e la distanza in superficie tra i due siti di registrazione. Numerosi studi hanno confermato il valore predittivo della PWV aortica per il rischio di eventi cardiovascolari  e la mortalità totale, in popolazioni ad alto rischio che nella  popolazione generale.

La funzione diastolica del ventricolo sinistro è ritenuta un importante fattore fisiopatologico di molte malattie che coinvolgono la meccanica cardiaca. Le manifestazioni cliniche di vari modelli di cardiomiopatia, come la cardiopatia ipertensiva, sono spesso il risultato di anomalie delle proprietà ventricolari diastoliche, le quali possono manifestarsi anche molto precocemente e coesistere o meno con la disfunzione sistolica. Una funzione diastolica normale permette di mantenere un adeguato volume di riempimento ventricolare a bassa pressione sia in condizioni basali che durante lo sforzo e questa è mantenuta grazie a diverse caratteristiche funzionali del ventricolo sinistro quali un rapido rilasciamento proto-diastolico, una bassa rigidità del ventricolo sinistro ed un’elevata distensibilità del ventricolo sinistro.

Figura 2: Acquisizione dei parametri di funzione diastolica attraverso lo studio del doppler tissutale a livello dell’anulus mitralico

Alterazioni della funzione diastolica sono di frequente riscontro nei pazienti ipertesi. Circa un quarto dei pazienti ipertesi anziani presenta alterazione della funzione diastolica, che può manifestarsi in completa assenza di disfunzione sistolica e di ipertrofia ventricolare sinistra e circa il 90% dei pazienti con scompenso diastolico presenta storia di ipertensione arteriosa. Alcuni importanti studi hanno riportato che la disfunzione diastolica predice lo sviluppo di scompenso cardiaco e si associa ad un aumentato rischio di eventi mortali da tutte le cause. Pertanto, la valutazione della funzione diastolica nel paziente iperteso risulta molto utile sia per la stratificazione del rischio del paziente che per guidare l’intervento terapeutico.

Negli ultimi anni, l’utilizzo della metodica ecocardiografica nel paziente iperteso, oltre alla valutazione della presenza di ipertrofia ventricolare sinistra, dovrebbe includere lo studio della funzione diastolica attraverso la misura di alcuni parametri, quali il rapporto tra le onde E ed A al flusso trans-mitralico tramite metodica Doppler. Più recentemente l’introduzione dei parametri di Doppler tissutale dell’anulus mitralico ha mostrato una buona correlazione con i dati emodinamici e rappresentano oggi indici più attendibili di disfunzione diastolica nella pratica clinica. Gli studi clinici hanno dimostrato una tendenza al beneficio in termini di miglioramento dei sintomi e riduzione dell’ospedalizzazione nei pazienti con scompenso cardiaco diastolico, ma nessun intervento si è dimostrato efficace nel ridurre la mortalità.

In conclusione, lo studio della rigidità arteriosa e della disfunzione diastolica nel paziente iperteso, potrà essere utilizzato in futuro per identificare pazienti ipertesi con alterazioni cardiovascolari precoci al fine di pianificare strategie terapeutiche mirate.