A. Zampieri
Libero Docente in Semeiotica Medica – Specialista in Storia della Medicina
La protezione dal vaiolo mediante immunizzazione ha origini molto antiche e nacque dall’osservazione che i soggetti guariti da questa malattia, eccezionalmente contraevano di nuovo lo stesso male. Già in Cina verso il VI secolo d.C. e successivamente in altri popoli asiatici fu scoperta la vaiolizzazione, nata allora come una pratica magico-religiosa. Tutto ciò rimase a lungo ignoto agli europei.
Il vaiolo era anche in occidente, almeno a partire dal VI secolo della nostra era, un flagello continuo e dopo ogni ondata epidemica persisteva allo stato endemico fra le popolazioni colpite; il virus aveva come unico ospite recettivo l’uomo, nel quale poteva sopravvivere anche a lungo.
Era una malattia molto grave che portava mediamente a morte il 25% dei colpiti, con punte che arrivavano all’80% nelle forme confluenti o emorragiche. Così si presentava questa malattia fino al Settecento, quando la pratica di questo tipo di immunità arrivò anche in Europa ove il vaiolo era ancora ampiamente diffuso ed uccideva ogni anno più di 400.000 persone.
Nel 1713 un medico greco, Emanuele Titoni, descrisse in un libro per primo questa pratica (Historia vaiolorum) e così pure in Francia, nel 1717, alla Facoltà di Medicina di Parigi fu discussa una tesi su quest’argomento, ma queste prime notizie non suscitarono alcun interesse nel mondo scientifico.
La storia a questo punto ricorda Wortley Montagu (1689-1762), moglie dell’ambasciatore inglese in Turchia, scrittrice e letterata, che dopo aver contratto il morbo e perduto anche un fratello per il vaiolo, aveva appreso i vantaggi della vaiolizzazione a Costantinopoli, ove nel 1717 aveva fatto inoculare il proprio figlio.

F. Caluri, Dell’innestare il vajuolo, In Siena, 1760
Ritornata in patria nel 1721, ne fece una attiva propaganda presso i vari circoli medici e culturali, ne parlò con entusiasmo a Corte, fino a convincere anche il re Giorgio I, che permise di inoculare i bambini della famiglia reale, cosa che avvenne con successo.

O. Nerucci, Discorso sopra all’innesto del vajolo, In Firenze, 1759

Tissot, L’inoculazione giustificata, In Venezia, 1775
Dopo questo episodio, la pratica cominciò progressivamente a diffondersi tra il 1723 ed il 1760 in tutta l’Inghilterra, come pure in Olanda, Danimarca, Svezia e Francia e poi negli altri paesi.
Questa metodica pèrò all’inizio incontrò non pochi ostacoli, per la superstizione e l’ignoranza popolare, i dubbi espressi dalla medicina ufficiale ed i problemi anche teologici suscitati, se fosse cioè lecito o no secondo le leggi cristiane ricorrervi. Per superare quest’ultimo punto, importanti furono i dotti pareri emessi allora da tre teologi dell’università di Pisa, Lorenzo Berti, Raimondo Armani e Gaetano Veraci, che si dichiararono fermamente a favore di questo innesto, giustificato dalla sua efficacia e non in contrasto con la fede.
La pratica fino allora seguita era quella di praticare l’innesto, dopo aver preparato il soggetto con riposo ed una serie di purghe, strofinando su scarificazioni fatte sulla cute di un braccio del pus prelevato dalle vescicole di un vaioloso, preferibilmente ammalato di una forma leggera, procedura questa che non era esente da rischi, anche con forme di malattia gravi.
Grazie all’opera di entusiastico proselitismo condotta da Charles de La Condamine durante il suo viaggio in Italia compiuto nel 1755, il problema cominciò anche da noi ad essere conosciuto e dibattuto. A Firenze il governo granducale per primo prese l’iniziativa ufficiale di effettuare le prime inoculazioni usando pus di vaiolo umano, con ottimi risultati. Da allora, specie per gli studi di Angelo Gatti, professore di medicina nell’ateneo pisano, la pratica si andò diffondendo sempre di più, anche in Veneto, Bologna e Piemonte.

Tre consulti, o disamine, fatte in difesa dell’innesto del vaiuolo, In Pisa, 1763
Questa la situazione sino alla fine di questo secolo, quando nel 1798 Edward Jenner, un semplice ma colto medico che esercitava la professione nelle campagne vicine a Berkeley (nella parte meridionale dell’Inghilterra) annunciò di aver individuato un metodo più sicuro ed efficace.

Ritratto di E. Jenner
La sua scoperta nacque dall’osservazione pratica che i contadini del suo paese che avevano contratto una eruzione vaioliforme (con poche pustole che si risolvevano senza danni in pochi giorni) mungendo delle vacche ammalate di vaiolo bovino (il cow-pox), risultavano poi immuni dall’infezione vaiolosa umana.

E. Jenner, alcune tavole presenti nella sua opera
Dimostrò quindi con tutta una serie di osservazioni e di studi durati circa 25 anni che l’inoculazione di questo pus, preso dalle persone che erano state colpite da questa eruzione vaccinica, produceva una immunità contro il vaiolo umano e che tale potere si conservava anche se trapiantato in serie da uomo a uomo.

E. Jenner, alcune tavole presenti nella sua opera
Il suo metodo guadagnò rapidamente la fiducia di tutti e si diffuse praticamente ovunque, dall’Europa, alll’India, al Sud America, con centinaia di migliaia di persone vaccinate.
Fra i più convinti fautori di questo nuovo procedimento dobbiamo ricordare Luigi Sacco (1769-1836) che, divenuto direttore delle vaccinazioni nel Regno Italico (che istituito da Napoleone I comprendeva Lombardia, Emilia, Romagna e Veneto), ne aveva promosso con energia l’applicazione portando in breve tempo a più di un milione i vaccinati nelle regioni di sua competenza.

C. Marescotti, De variolis tractatus, Bononiae, 1723
Pur così efficacemente combattuto, il vaiolo comunque resterà sempre diffusamente presente allo stato endemico ancora per tutto il corso dell’Ottocento, specie nei centri urbani più popolati, con frequenti esplosioni epidemiche.