A. Marioni – P. Buccianti Dipartimento di Gastroenterologia – U.O. Chirurgia Generale e Colon Rettale A.O.U.P.

La ricerca di una valida ed efficace innovazione tecnologica, nella prospettiva di garantire al paziente il miglior risultato con il minor stress psico-fisico e una buona ripresa della qualità di vita, è uno dei principali “motori” dell’attività del chirurgo, soprattutto negli ultimi vent’anni. Nell’ambito della chirurgia della parete addominale, il trattamento laparoscopico del laparocele rappresenta un’area di innovazione terapeutica che punta a minimizzare l’invasività dell’atto chirurgico.

Ad oggi l’adozione della tecnica mini-invasiva risulta ancora piuttosto limitata nella realtà ospedaliera italiana, ma è comunque oggetto di costante attenzione e crescente curiosità da parte della comunità scientifico-chirurgica. Mancano ancora approcci standardizzati, sia nella tecnica chirurgica, sia nelle indicazioni al miglior trattamento.

Epidemiologia e fattori di rischio

Il laparocele è una complicanza a breve o lungo termine dopo chirurgia addominale ed il tasso di incidenza è di circa il 10% (2%-13%), anche se probabilmente è più elevato perchè la maggior parte di queste ernie sono asintomatiche. Negli Stati Uniti vengono realizzate annualmente 4 a 5 milioni di laparotomie  con un’incidenza di 400.000-500.000 laparoceli e approssimativamente 200.000 riparazioni chirurgiche. L’incidenza di un laparocele aumenta significativamente in caso di contaminazione della ferita chirurgica con una frequenza variabile dal 23% al 40%. Inoltre il 50% di tutti i laparoceli si sviluppano entro i primi 2 anni e il 74% entro 3 anni dall’intervento chirurgico.

Un’ernia addominale dovrebbe essere considerata una condizione progressiva: a causa della pressione intraddominale e della tensione laterale esercitata dai muscoli, queste ernie sono soggette ad aumentare di volume ed a recidivare.

Si ipotizza che i laparoceli derivino da una separazione acuta subclinica della fascia nel periodo postoperatorio precoce. Durante 0–30 giorni post-operatori, la resistenza alla trazione della ferita è più basso con conseguente bassa tenuta della sutura alla tensione e maggior rischio di deiscenza acuta della ferita.

I fattori genetici del paziente hanno un ruolo importante nella guarigione dell’incisione chirurgica. La guarigione della ferita dipende da molti fattori molecolari e cellulari capaci di promuovere l’emostasi, l’infiammazione, l’angiogenesi, la fibroplasia, e il rimodellamento della ferita. L’alterazione di uno di questi fattori comprometterebbe la guarigione della ferita e predisporrebbe al laparocele.

Entità del problema

I costi economico-sociali sono enormi considerando la frequenza del laparocele, l’incidenza delle complicanze correlate (dolore, occlusione intestinale, incarceramento erniario con possibile strangolamento, ischemia e necrosi omentale o della parete intestinale) che in alcuni casi richiedono un trattamento chirurgico urgente, la modificazione dello stile di vita, la spesa correlata alla riparazione erniaria, i costi delle complicanze degli interventi chirurgici di riparazione e delle eventuali recidive. Questo spiega la criticità di creare delle linee guida per avere delle indicazioni di trattamento corrette, efficaci e sicure. Nonostante il miglioramento tecnico  degli ultimi 20 anni la riparazione erniaria open è ancora associata ad una morbidità significativa e ad un alto tasso di recidiva. Infatti la riparazione realizzata con sutura diretta del difetto comporta un tasso di recidiva variabile 12%-54% , mentre la riparazione con protesi  presenta percentuali di recidiva fra il 2% ed il 36% (in media 12,5%).

L’introduzione di un corpo estraneo come una rete protesica, se da un lato riduce la recidiva erniaria, dall’altro predispone a complicanze nuove. Le conseguenze del posizionamento della protesi (sieroma, ematomi, complicanze importanti come le aderenze con possibile occlusione intestinale, erosione dell’intestino, fistole entero-cutanee, dolore cronico, risultato estetico deludente) causano il deterioramento piuttosto che il miglioramento delle condizioni di salute e della qualità della vita del paziente.

L’introduzione della rete protesica per assicurare tenuta alla parete addominale senza tensione se da un lato decresce la recidiva dell’ernia, dall’altro richiede una significativa dissezione dei tessuti molli, già di scarsa qualità, con conseguente riduzione della vascolarizzazione dei tessuti stessi e con la creazione di uno spazio che può aumentare il tasso di complicanze, in particolare la contaminazione batterica.

Da queste considerazioni è nato l’interesse verso nuove tecniche di riparazione chirurgica. L’approccio laparoscopico è stato applicato alla riparazione del laparocele con l’aspettativa, in quanto tecnica mini-invasiva, di un precoce recupero e rapido ritorno all’attività lavorativa, riduzione della degenza ospedaliera, ridotto tasso di complicanze postoperatorie,  minore recidiva, miglior risultato estetico, minor dolore post-operatorio con il risultato finale di un miglioramento dello stato di salute del paziente e una migliore qualità della vita.

Questo metodo minimizza l’insulto chirurgico e permette anche la migliore visualizzazione del difetto, incluso i piccoli difetti associati con l’ernia primaria che non possono essere apprezzati clinicamente. Facilita inoltre la disposizione accurata della protesi con un overlap fasciale sufficiente. La minima dissezione dei tessuti richiesta può aiutare anche a ridurre il rischio di sanguinamento con eventuale formazione di ematomi, danni alla parete intestinale e complicanze infettive.

Il trattamento di riparazione laparoscopico può essere considerato in diverse situazioni cliniche: 1) ernie addominali con un diametro minimo di 3 cm, se recidive; 2) ernie addominali con un diametro traverso  massimo fino a 10- 15 cm anche oltre, da valutare in base all’esperienza dell’equipe ed al soma del paziente; 3) Difetti multipli della parete addominale associati al difetto principale; 4) sportivi e donne; 5) pazienti obesi; 6) pazienti in terapia anticoagulante; 7) presenza di patologie associate da sottoporre a trattamento chirurgico laparoscopico (ernie inguinali, malattia da reflusso gastro-esofageo, colelitiasi, patologia renale e surrenalica).

Controindicazioni relative riguardano i pazienti che hanno subito una precedente radioterapia e multipli interventi addominali, immunodepressi o con ipertensione portale.

A parte le controindicazioni specifiche alla laparoscopia e all’anestesia generale, le uniche vere controindicazioni al trattamento laparoscopico delle ernie addominali sono rappresentate dalle donne in stato di gravidanza e dai bambini, oppure un addome impraticabile o ernie addominali con perdita del “diritto di domicilio in addome” dei visceri.

Trattamento del laparocele

Diversi studi clinici evidenziano che il trattamento del laparocele non è ancora standardizzato. Mentre il trattamento conservativo può solamente essere di supporto, le procedure chirurgiche sono le sole opzioni di trattamento terapeutico. Il trattamento chirurgico deve quindi essere realizzato tempestivamente, anche perché l’ernia tende ad  aumentare in dimensioni ed il rischio di sviluppare complicanze, che richiedono una chirurgia di urgenza, è considerevole. Tradizionalmente  la riparazione open del laparocele con solo sutura era associata ad un tasso di recidiva più alto del 50%.

Figura 1: Riparazione con sutura

Per ridurre questo inaccettabile tasso di recidive sono stati sviluppati approcci chirurgici alternativi.

Oggi la riparazione del laparocele comporta di solito il posizionamento di una rete protesica per aumentare la resistenza della parete addominale con approccio convenzionale open o con tecnica laparoscopica.

Mentre la chirurgia laparoscopica comporta di solito il fissaggio di una rete intraperitoneale, sono state sviluppate diverse tecniche di fissaggio della rete per procedure non laparoscopiche, come il posizionamento onlay (sottocutaneo soprafasciale), inlay (sottofasciale premuscolare), sublay (retromuscolare sottofasciale) e underlay (intraperitoneale).

Figura 2: Riparazione open onlay

Figura 3: Riparazione underlay extraperitoneale o sublay

Figura 4: Riparazione underlay intraperitoneale

Sia nella riparazione open che nella chirurgia laparoscopica  abbiamo un basso tasso di recidiva 0–10%. Sebbene la percentuale di recidiva per l’approccio open e per quello laparoscopico è diminuita rispetto alla riparazione con sutura , la superiorità di una tecnica di posizionamento della rete sull’altra non è stata stabilita.

Tecnica laparoscopica

Attualmente non c’è accordo sulla tecnica di trattamento standard per la riparazione laparoscopica del laparocele.

Prima dell’inizio dell’intervento chirurgico viene eseguita una profilassi antibiotica ed antitromboembolica (pazienti selezionati e a rischio), posizionato un sondino naso-gastrico ed un catetere vescicale in relazione alla previsione di durata dell’intervento stesso. Inoltre viene applicata una compressione meccanica agli arti inferiori. Nella preparazione del paziente è importante, per l’orientamento dell’operatore, il disegno sull’addome della porta erniaria e della eventuale protesi da utilizzare con overlap di 3-5 cm.                                     

Dopo aver preparato il campo operatorio si procede all’induzione dello pneumoperitoneo con ago di Verres, introdotto nella maggior parte dei casi in posizione sottocostale sinistra (in relazione alla sede del difetto erniario), e quindi risulta importante il posizionamento del SNG per detendere lo stomaco. Secondo necessità, per indurre lo pneumoperitoneo (12-14 mmHg), è sata utilizzata la tecnica “open” con trocar di di Hasson. Per accedere alla cavità peritoneale viene utilizzato un trocar ottico da 10 mm con ottica angolata (30°). Abitualmente vengono utilizzati 3 trocar da 5-10 mm in relazione alla tecnica di fissaggio della protesi. Il posizionamento dei trocars è condizionato dalla sede del laparocele, dalle dimensioni del difetto erniario e dalle dimensioni dell’addome. Generalmente essi vengono posizionati il più lontano possibile dal difetto erniario.

Non ci sono posizioni standard ma ogni trocar condiziona il posizionamento degli altri, quindi è consigliabile una tecnica “step-by-step” con lo schema della TRIANGOLAZIONE con l’apice del triangolo verso il difetto da riparare. Il posizionamento dei trocars deve garantire uno spazio sufficiente per lavorare, inoltre è utile avere dei trocars che consentono di intercambiare l’ottica nelle varie posizioni. Alcune volte è necessario utilizzare un trocar “controcampo” per il fissaggio della protesi.

Introdotti i trocars si verifica il corretto posizionamento dell’ago di Verres prima della sua rimozione. Si procede pertanto all’eventuale adesiolisi che costituisce il tempo più rischioso dell’intervento: è la prima causa di conversione e di complicanza infettiva post-operatoria. E’ consigliabile limitare la lisi delle aderenze visceroparietali, ma comunque è necessario liberare tutta la cicatrice chirurgica ed evidenziare eventuali porte aggiuntive, utilizzando possibilmente forbici con lama fredda non elettrocoagulate o eventualmente corrente bipolare, soprattutto in vicinanza delle anse intestinali per ridurre il rischio di lesioni. Si ritiene comunque utile la dissezione del tessuto adiposo peritoneale dal peritoneo parietale per il fissaggio della protesi alla fascia. Terminata la lisi delle aderenze si definisce il numero e le dimensioni del difetto erniario. Esistono diversi metodi: palpatoriamente, puntura transcutanea con aghi, tatuaggio sulla cute. Definito il difetto si inserisce la protesi idonea, riducendo lo pneumoperitoneo a 8 mmHg per evitare un posizionamento non corretto, e la posizione intraperitoneale della protesi viene definita in base alla sede della porta ed ai reperi precedentemente disegnati sulla mesh. La rete deve essere ben distesa senza accartocciamenti e quindi si procede al sollevamento e alla successiva fissazione con quattro punti transfasciali riassorbibili di polidioxanone ai 4 punti cardinali, associati ad una doppia corona di tacks riassorbibili o non riassorbibili, realizzando un overlap di 3-5 cm.

In alcuni casi il posizionamento delle tacks in vicinanza dei trocar operatori può essere problematico per motivi ergonomici, per cui si  posiziona un trocar aggiuntivo “contro-laterale” alla parte della protesi da fissare. Il posizionamento della doppia corona di tacks (corona interna  a circondare il difetto, corona esterna a ½ cm dal bordo della protesi) è indicato in figura.

Il sacco erniario rimane in situ e per evitare la formazione di sieromi in passato è stata utilizzata la scarificazione con argon, il posizionamento di colla di fibrina all’interno, anche se attualmente l’unico presidio utile è quello di eseguire una medicazione compressiva e consigliare l’utilizzo di contenzione chirurgica addominale per 3-4 settimane.

Studio clinico

Lo studio da noi effettuato ha analizzato 69 pazienti sottoposti a riparazione laparoscopica del laparocele. Lo scopo è stato quello di valutare l’efficacia e la sicurezza della tecnica chirurgica analizzando diversi parametri come il tempo operatorio, tasso di conversione, incidenza di recidiva, complicanze intraoperatorie, degenza post-operatoria, tasso di complicanze post-operatorie (sieromi, infezioni di ferita, ematomi, ileo paralitico, dolore post-operatorio precoce e cronico) con un follow-up di 3-48 mesi.

Materiali e metodi

Dal mese di Settembre 2001 al mese di dicembre 2010 presso la Sezione Organizzativa a valenza Dipartimentale Presidio del Day Surgery e successivamente presso l’U.O. di Chirurgia Generale e Colon-Rettale del Dipartimento di Gastroenterologia (Direttore Dr. Piero Buccianti) dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana sono stati trattati 231 i pazienti affetti da laparocele ed ernia primitiva della parete addominale. La diagnosi del laparocele e la valutazione preoperatoria del difetto erano basate, nella maggior parte dei casi sul solo esame clinico, eventualmente associato all’ecografia, mentre la TC, esame di secondo livello, era utilizzata in casi selezionati come pazienti obesi, laparoceli complicati, recidivi, multipli difetti di parete o patologie associate. Su 231 pazienti con ernia incisionale in 162 casi (70,13%) abbiamo realizzato un approccio open convenzionale, mentre in 69 casi (29,87%) è stata effettuata una riparazione laparoscopica. La disomogeneità in dimensione dei due gruppi è da correlare all’utilizzo più recente della tecnica laparoscopica (Gennaio 2007) rispetto alla tecnica open nella riparazione del laparocele. Da quel periodo sono stati eseguiti 133 interventi di riparazione per laparocele o ernia addominale primitiva di cui 64 con tecnica open (48,13%) e 69 con tecnica mini invasiva laparoscopica (51,87%).

Tabella 1. Dati relativi alle caratteristiche dei pazienti, dei difetti erniari ed i dati correlati all’intervento chirurgico nei due gruppi di trattamento (Gruppo 1: laparoscopia, Gruppo 2: trattamento open)

Discussione                                                                                                              

L’indicazione alla riparazione protesica laparoscopica del laparocele è accettata a partire dai 3 cm di diametro. Il limite massimo non è stabilito in letteratura, ma varia a seconda dell’esperienza dei singoli centri. Sono state riportate esperienze positive per grandi laparoceli (diametro superiore ai 10 cm) da parte di equipe con esperienza consolidata. Questi valori non sono da considerare assoluti ma sempre in relazione alle caratteristiche antropometriche del paziente.

Per la valutazione preoperatoria del difetto si raccomanda la TC (Tomografia Computerizzata) in casi selezionati (ad esempio nei pazienti obesi, con laparoceli complicati, con multipli difetti, recidivi o con patologie associate), mentre il solo esame clinico, eventualmente associato all’ecografia, è da considerarsi sufficiente in tutti gli altri pazienti. Non vi è controindicazione alla riparazione laparoscopica dei laparoceli di confine (sottocostale, sovrapubico, iliaco, lombare) (GoR=B, LE=III).

L’età avanzata non costituisce una controindicazione, di per sé, alla riparazione laparoscopica del laparocele, pertanto anche i pazienti di età superiore ai 75 anni possono beneficiare dell’approccio miniinvasivo (GoR=B, LE=III).

L’obesità (bmi>35) non costituisce una controindicazione alla laparoscopia, non avendo la letteratura dimostrato che il paziente obeso abbia un tasso di complicanze maggiore rispetto al non obeso. Il paziente deve essere informato della possibilità di recidiva con un tasso superiore rispetto al non obeso, analogamente a quanto accade nella chirurgia aperta.

La cirrosi epatica non scompensata non costituisce una controindicazione assoluta alla riparazione laparoscopica (GoR=B. LE=IIb).

Non esistono in letteratura dati sufficienti a raccomandare l’utilizzo della tecnica laparoscopica nelle donne in età fertile e in gravidanza. (GoR=C, LE=IV).

Il numero, l’eziologia e la tipologia degli interventi pregressi, recidive comprese, non costituiscono una controindicazione all’approccio laparoscopico. (GoR0=B, LE=IIb). Nelle recidive con pregresso trattamento open ma anche con pregresso trattamento laparoscopico, preferiamo utilizzare un approccio laparoscopico con ottimi risultati e minore incidenza di ulteriori recidive rispetto al trattamento open.

Gli interventi associati sono indicati solo se non a rischio di contaminazione, potenzialmente settica, del campo operatorio. Per ciò che concerne l’utilizzo delle protesi biologiche in questi casi, i dati in letteratura non sono ancora sufficienti. (GoR=C, LE=III).

Esistono pochi studi che evidenziano la fattibilità e l’efficacia della riparazione laparoscopica nel laparocele in urgenza, ma in questi casi le complicanze intra e postoperatorie e le recidive sono riportate con numeri sovrapponibili ai casi trattati in elezione. Si raccomanda, comunque, di affrontare il laparocele in urgenza con approccio miniinvasivo, solo in presenza di una buona esperienza sia in chirurgia d’urgenza sia nella riparazione laparoscopica in elezione. (GoR=B, LE=III).

La letteratura raccomanda di realizzare il pneumoperitoneo lontano dalle cicatrici chirurgiche utilizzando per l’introduzione del primo trocar la tecnica open o con trocar ottico o Veress assistita (con ago posizionato lateralmente in sede sottocostale sinistra). Il posizionamento degli altri trocar è realizzato con una tecnica “step by step” con orientamento a “triangolazione” tale da permettere non solo il corretto utilizzo dello strumentario ma anche il posizionamento della protesi. Per quanto riguarda il rispetto dell’overlap , in accordo con i diversi studi analizzati, deve essere realizzato un overlap minimo di 3-5 cm. In accordo con i diversi autori esaminati raccomandiamo di eseguire l’adesiolisi in maniera tale da esporre l’intera area della pregressa incisione, per evidenziare eventuali difetti secondari misconosciuti. L’adesiolisi in prossimità dei visceri dovrebbe essere eseguita con lama fredda. (GoR=B, LE=IIa).

In letteratura i metodi di fissaggio più utilizzati sono le spirali metalliche, disposte a doppia corona, associate o meno a punti trasfissi. L’associazione di punti transfissi non aumenta il rischio di infezione e dolore (GoR=B; LE=IIa). L’uso della sola colla di fibrina o dei soli mezzi di fissaggio riassorbibili è ancora da validare, mancando adeguati studi di follow-up. (GoR=C, LE=IV).

L’incidenza di recidiva  a medio termine, dopo trattamento laparoscopico (4-5%)  risulta in letteratura, paragonabile se non inferiore al trattamento laparotomico (riparazione sublay <10%, onlay 20-24%, underlay intraperitoneale <5%) (GoR=A, LE=Ia). I fattori favorenti la recidiva sono: l’obesità, il laparocele recidivo e l’insufficiente overlap. Inoltre non vi è correlazione con il tipo di protesi usata e con le dimensioni del difetto. L’uso dei punti trasfissi associato alle tacks, in diversi studi, non sembra ridurre in modo statisticamente significativo l’incidenza di recidiva, così come non ci sono differenze in letteratura sull’utilizzo di tacks riassorbibili e non riassorbibili. In accordo con la letteratura la recidiva dopo trattamento laparotomico o laparoscopico può essere trattata per via laparoscopica con minore incidenza di ulteriori recidive rispetto all’approccio laparotomico (GoR=B, LE=IIb). Inoltre, come in diversi studi analizzati, è preferibile utilizzare il trattamento laparoscopico nei difetti multipli, questa strategia permette, a differenza del trattamento open, l’esatta localizzazione e misurazione delle porte erniarie in modo da realizzare un adeguato overlap della protesi e ridurre le recidive. La letteratura evidenzia che la riparazione del laparocele senza protesi  comporta percentuali di recidiva variabili dal 12% al 54%.

La conversione è in relazione alla difficoltà dell’adesiolisi, alla possibilità di una lesione intestinale e all’esperienza dell’equipe chirurgica nella riparazione laparoscopica del laparocele. La letteratura riporta un tasso di conversione di 3,7-4% (Rudmik e coll.).  In accordo con diversi studi il tempo operatorio non è sostanzialmente differente nei due gruppi e la durata dell’intervento è in relazione alla curva di apprendimento della tecnica. Nella revisione di Rudmik e coll. il rischio complessivo di perforazione intestinale è del 2.1%, Saijd riporta un’incidenza del 3,5%. La possibilità, comunque, di lesioni intestinali è presente nel trattamento laparoscopico del laparocele in relazione all’estensione delle aderenze, in accordo con gli studi analizzati è consigliabile avere una particolare attenzione preferendo l’utilizzo della corrente bipolare anzi che monopolare, il bisturi ad ultrasuoni nella liberazione delle anse intestinali o le forbici non elettrificate. La letteratura sottolinea che in caso di lesione riconosciuta del piccolo intestino, senza rilevante spandimento di liquido enterico, si può procedere alla raffia della lesione ed alla riparazione protesica anche per via laparoscopica. Alcuni AA. raccomandano la riparazione, eventualmente laparoscopica, della lesione ed una dilazione della riparazione protesica, mentre Altri AA., in assenza di contaminazione visibile, procedono alla riparazione immediata laparoscopica dell’ernia. In presenza di una peritonite postoperatoria da lesione viscerale misconosciuta, la revisione laparoscopica precoce ha un ruolo sia diagnostico che potenzialmente terapeutico. Si raccomanda, in questo caso, di rimuovere sempre la protesi posizionata. (GoR=B, LE=III). La degenza post-operatoria è significativamente minore nei pazienti sottoposti a laparoscopia (1,84 contro 3,6 giorni), in linea con gli studi della letteratura. Da questa considerazione i costi complessivi dei due gruppi di trattamento potrebbero essere simili: infatti nel gruppo con trattamento laparoscopico al maggior costo dei materiali utilizzati va sommata la minore degenza.

L’incidenza del sieroma, non presenta differenze statisticamente significative rispetto all’approccio laparotomico (GoR=A, LE=Ia). E’considerato una complicanza solo quando persiste oltre i due mesi ed è associato a dolore o a infezione. L’unica prevenzione efficace sembra essere il bendaggio compressivo sul sito della porta erniaria per 3-4 settimane. L’eventuale trattamento viene eseguito con agoaspirazione ECO/TC guidata o drenaggio chirurgico in caso di localizzazione anteriore, con drenaggio laparoscopico in caso di localizzazione posteriore alla protesi. L’infezione protesica, che presenta un’incidenza inferiore (2-3%) rispetto alla tecnica laparotomica, richiede l’asportazione della protesi; nel paziente non settico è possibile un tentativo di trattamento conservativo con antibioticoterapia mirata previo drenaggio percutaneo o laparoscopico (GoR=B, LE=IIb). Pierce e coll. sottolineano che la differenza in percentuali di infezioni di ferita tra i pazienti sottoposti a laparoscopia e i casi open (1,3% contro 9,5%) era legato a tre fattori: minima dissezione dei tessuti per posizionare la protesi, posizionamento intraperitoneale della rete e non nel sottocute (riparazione onlay) o sottofasciale (sublay), inoltre non venivano posizionati drenaggi nell’approccio laparoscopico. Nonostante questi vantaggi le infezioni della rete  si verificano nello 0,85-1,45% dei pazienti sottoposti a laparoscopia ed in alcuni casi era necessaria la rimozione della protesi.

In laparoscopia possono verificarsi ematomi da trocar (è consigliabile il posizionamento sotto visione), da tacks o da punto, mentre in chirurgia open è l’estesa dissezione che causa i sanguinamenti.

In letteratura l’incidenza dell’ileo postoperatorio, dopo trattamento laparoscopico del laparocele, non è trascurabile (2,2%) ma  sembra inferiore o uguale rispetto all’incidenza dopo trattamento laparotomico. Non vi è evidenza, in letteratura, di correlazione con i differenti tipi di protesi. La genesi è multifattoriale e difficile da prevenire. E’ opportuno il trattamento medico, escludendo prima un ileo secondario ad una complicanza postoperatoria. L’incidenza dell’occlusione meccanica è riportata tra lo 0,5-1%. Tra le cause possibili, oltre alle aderenze con protesi o tacks, non bisogna dimenticare la possibilità di un laparocele strozzato nel sito di un trocar, per cui si raccomanda la chiusura fasciale degli accessi di 10 mm. In caso di reintervento il primo approccio, se eseguito precocemente, può essere laparoscopico. Non vi è evidenza in letteratura di una chiara correlazione tra l’incidenza di occlusione ed il tipo di protesi. (GoR=B, LE=III).

Non esiste evidenza in letteratura che l’approccio laparoscopico induca un minor dolore postoperatorio precoce rispetto all’approccio laparotomico, dato che vari elementi concorrono all’insorgenza del dolore acuto: la distensione addominale da pneumoperitoneo, l’introduzione dei trocars, l’uso dei mezzi di fissaggio (punti transfissi, tacks). Non esiste evidenza in letteratura che il punto tranfisso risulti più algogeno dei mezzi di fissazione metallici. Per quanto riguarda il dolore cronico, i mezzi di fissaggio non riassorbibili possono indurre dolore da ischemia, lesione muscolare e nervosa, senza evidenza in letteratura di una maggiore azione algogena da parte dei punti transfissi. Non esiste adeguato follow-up sui mezzi di fissaggio riassorbibili, anche se i dati sperimentali e preliminari sul dolore risultano promettenti. Altre possibili cause di dolore cronico possono essere: il sieroma, la retrazione infiammatoria della protesi e la recidiva che andranno sempre escluse prima di procedere a trattamenti conservativi. In caso di dolore intenso e persistente è consigliabile procedere all’esplorazione laparoscopica: le eventuali aderenze alla protesi o alle tacks dovranno essere lisate, mentre i mezzi di fissazione situate nelle sedi algiche, individuati preoperatoriamentele, dovranno essere rimossi. (GoR=B, LE=IIa).

Conclusioni

Analizzando i diversi lavori presenti in letteratura, i risultati del nostro studio dimostrano che l’approccio laparoscopico per il trattamento del laparocele è efficace e sicuro. L’efficacia del trattamento mini-invasivo è evidente dall’analisi di diversi parametri. Il tasso di recidiva nel nostro studio è del 5,7%, sovrapponibile all’approccio open convenzionale (5,5%). L’incidenza di conversione al trattamento open è bassa (1,4%) e inferiore ai dati della letteratura, il tempo operatorio è simile nei due gruppi di trattamento, non si sono verificate complicanze intraoperatorie, e la degenza postoperatoria è minore rispetto al trattamento di riparazione convenzionale (1,6 gg laparoscopia v/s 3,6 gg open). La sicurezza della riparazione laparoscopica nel nostro studio è dimostrata da un tasso di complicanze del 15,9% inferiore alla riparazione open 27,1%: la diversa incidenza di complicanze nel nostro studio clinico è in relazione alla maggior frequenza nella chirurgia open convenzionale sia delle infezioni di ferita correlate all’estesa dissezione dei tessuti, all’utilizzo di drenaggi e alle soluzioni di continuo della cute e sia dei sieromi sintomatici. Inoltre il dolore postoperatorio è sostanzialmente simile nei due gruppi di trattamento, anche se con l’utilizzo di mezzi di fissazione riassorbibili abbiamo ottenuto una netta e notevole riduzione del dolore cronico.

Tabella 2. Confronto fra i due gruppi di trattamento in relazione alle complicanze post-operatorie, al tasso di recidiva e alla durata dell’ospedalizzazione (Gruppo 1: laparoscopia, Gruppo 2: trattamento open)

L’approccio laparoscopico è tecnicamente esigente, richiede abilità, infatti, come è sottolineato in letteratura,  il tasso di conversione e il tempo operatorio sono in stretta correlazione all’esperienza  dell’equipe chirurgica.

Nonostante i risultati incoraggianti sull’efficacia e la sicurezza, derivanti da diversi studi, del trattamento laparoscopico del laparocele non c’è consenso su quale sia il miglior trattamento disponibile. Infatti la riparazione del laparocele è una procedura laparoscopica avanzata che richiede un adeguato training per evitare errori di tecnica ed inoltre le indicazioni sono in evoluzione. E’ consigliabile iniziare con casi facili e selezionati, anche se i soggetti obesi e con grandi laparoceli sarebbero quelli che potrebbero trarre i maggiori benefici da questa tecnica, ma costituiscono i casi tecnicamente più difficili.