P. Malacarne Dir. U.O. Anestesia e Rianimazione, P.S., AOUP
La legge 219/2017 che regolamenta il Consenso Informato e le Disposizioni Anticipate di Trattamento (il cosiddetto testamento biologico) affronta, all’art.5, la pianificazione anticipata e condivisa delle cure (PCC), inserendola nella relazione tra paziente e medico, in particolare nelle condizioni di “malattia cronica e invalidante o caratterizzata da inarrestabile evoluzione verso una prognosi infausta”.
La stessa legge ribadisce all’Art. 2 il diritto per il paziente ad accedere alle cure palliative.
La piena attuazione di questi strumenti è oggi difficilmente realizzabile stante la attuale situazione organizzativa del nostro S.S.N., ancora ampiamente sbilanciata in senso “ospedale-centrico” rispetto alla sanità territoriale.
Due sono i principali problemi da affrontare, uno in fase di pianificazione e l’altro in fase di realizzazione.
1) la P.C.C. dovrebbe vedere protagonista, insieme al malato, il medico di medicina generale (M.M.G.), coadiuvato dagli eventuali specialisti ospedalieri che lo hanno in cura. Il M.M.G. dovrebbe avere tutto il tempo necessario per poter “informare adeguatamente il paziente sull’evolversi della patologia in atto, su quanto il paziente può realisticamente attendersi in termini di qualità di vita, sulle possibilità cliniche di intervenire e sulle cure palliative”; questo tempo di comunicazione tra medico e paziente, che come si afferma all’Art. 1 è “tempo di cura”, non può certamente essere quantificato in poche decine di minuti spesi in ambulatorio, ed è un tempo nel quale è richiesta la presenza sia dei medici specialisti ospedalieri che, seguendo per quanto di loro competenza il paziente (cardiologo, pneumologo, oncologo, ecc.) sono di supporto essenziale nella definizione della prognosi, sia dal medico rianimatore, che per parte sua può spiegare al paziente il senso e la appropriatezza clinica delle eventuali cure intensive alle quali il paziente dovrà poi decidere se sottoporsi o meno: si tratta dunque di una organizzazione assistenziale centrata attorno al paziente che deve avvenire al di fuori del contesto Ospedaliero, e che oggi è di fatto sconosciuta
2) se nell’ambito della P.C.C. il malato chiede di poter rimanere al proprio domicilio per ricevere le cure palliative, il S.S.N. deve essere in grado di garantire questa scelta h. 24, 7 giorni su 7, 365 giorni all’anno: in questo senso il M.M.G., principale responsabile della unitarietà nella gestione clinica e assistenziale del paziente, deve potersi avvalere di un servizio territoriale di cure palliative domiciliari che oggi di fatto è carente: questa carenza porta la maggioranza dei pazienti a rivolgersi al Pronto Soccorso, con ricoveri inappropriati, come purtroppo ben documentato dai dati recentemente pubblicati dalla Agenzia Regionale di Sanità (“La qualità della assistenza nelle cure di fine vita in Toscana: report 2016”)
Sia nella fase di relazione di cura e di pianificazione, sia nella fase di messa in atto delle cure palliative, è sul territorio, al domicilio del paziente, e non in Ospedale che si gioca la concreta attuazione della Legge: in questo senso viene di fatto ribaltata la attuale situazione sanitaria che vede il territorio in grande difficoltà nella presa in carico dei pazienti, nonostante che da anni il S.S.R. abbia cercato di promuovere modelli organizzativi (quali la “sanità di iniziativa”) che la incentivassero. Si tratta di passare per questa tipologia di pazienti da un modello “ospedale-centrico” fondato sulla erogazione di prestazioni ancora oggi eccessivamente parcellizzate per specialità, ad un modello “paziente-centrico” da gestire al domicilio o in strutture di ricovero alternative all’Ospedale (Hospice in primis, ma non solo): ma questo sarà possibile solo se la sanità territoriale avrà gli strumenti e la mentalità per questa attività: strumenti significa finanziamenti, organizzazione, sburocratizzazione della attività del M.M.G. per dargli il tempo necessario alla relazione di cura come prevista da questa Legge; mentalità significa recuperare da parte del M.M.G. la sua centralità nella gestione complessiva del paziente; e sarà possibile solo se l’Ospedale si metterà a servizio del territorio nel garantire che tutte le cure erogabili in sicurezza a domicilio anziché in regime di ricovero lo siano effettivamente. E infine sarà possibile solo se i pazienti (e i loro familiari) che hanno deciso nell’ambito della P.C.C. e delle D.A.T. di ricevere a domicilio le cure palliative e che non vorrebbero tornare in Ospedale, sperimenteranno a domicilio di non essere lasciati soli nei momenti critici, anche di notte, essendo poi costretti a chiamare il 118 il cui medico non potrà fare altro che portare nuovamente il paziente in Ospedale.